Commercio di ‘strumenti di tortura’: una precisazione

24 Marzo 2010

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(24 marzo 2010)

A seguito di alcuni resoconti di stampa che attribuivano ad Amnesty International l’affermazione secondo cui aziende italiane prendono parte al commercio globale di ‘strumenti di tortura’, Amnesty International desidera precisare di non aver mai affermato che aziende italiane forniscano a governi stranieri materiale che viene usato per torturare.
 
Il rapporto intitolato ‘Dalle parole ai fatti’, pubblicato il 17 marzo da Amnesty International e dalla Omega Research Foundation, ha verificato che diverse aziende dell’Unione europea, comprese aziende italiane, hanno continuato a mettere in vendita prodotti la cui esportazione dev’essere autorizzata dai rispettivi governi nazionali, sulla base del Regolamento 1236/2005 della Commissione europea ‘concernente il commercio di determinate merci che potrebbero essere utilizzate per la pena di morte, la tortura o altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti’ . Questo Regolamento è entrato in vigore alla metà del 2006. In un caso, un’azienda italiana ha pubblicizzato un prodotto la cui importazione ed esportazione è proibita da questo Regolamento. Come affermato chiaramente dal nostro rapporto, quando è stata contattata da Amnesty International, quest’azienda ha comunicato che il prodotto in questione non era più in vendita e che il suo sito Internet sarebbe stato aggiornato nel giro di poche settimane.
 
Questi dettagli sono forniti nel rapporto non per accusare aziende italiane di esportazioni illegali, ma semplicemente per illustrare l’insufficiente consapevolezza, da parte di diversi stati membri dell’Unione europea, delle attività commerciali che riguardano prodotti sottoposti a controlli da parte del Regolamento all’interno dei loro territori.  
 
Maggiori informazioni sono disponibili online