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La diffusione del coronavirus (2019-nCov), iniziata nella città cinese di Wuhan (situata nella provincia dello Hubei) alla fine del 2019 è stata dichiarata emergenza sanitaria globale dall’Organizzazione mondiale della sanità.
All’inizio di febbraio l’epidemia ha contagiato oltre 28.000 persone nel mondo, quasi tutte in Cina. Le autorità cinesi hanno dichiarato 563 morti, per lo più nello Hubei. L’epidemia ha raggiunto 25 altri paesi e territori nel mondo.
La risposta a un’epidemia può avere un impatto potenziale sui diritti umani di milioni di persone. Al centro di tutto c’è il diritto alla salute, garantito dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, che contempla il diritto di accedere alle cure mediche e alle informazioni, il divieto di discriminazione nella fornitura di servizi sanitari, la libertà dalle cure mediche prive di consenso e altre importanti garanzie.
“Censura, discriminazione, arresti arbitrari e violazioni dei diritti umani non devono trovare posto nella lotta contro l’epidemia da coronavirus“, ha dichiarato Nicholas Bequelin, direttore di Amnesty International per l’Asia.
“Le violazioni dei diritti umani ostacolano, anziché facilitare, la risposta alle emergenze sanitarie e riducono la loro efficacia“, ha aggiunto Bequelin.
Durante un’epidemia sono a rischio altri diritti umani: la libertà dagli arresti arbitrari, la libertà di movimento e di espressione e altri diritti socio-economici. Questi diritti possono essere limitati ma solo se le restrizioni corrispondono ai principi di necessità, proporzionalità e legalità.
La censura iniziale
Il governo cinese si è strenuamente impegnato a sopprimere informazioni sul coronavirus e sui rischi per la salute pubblica. Alla fine del dicembre 2019, medici di Wuhan hanno condiviso coi loro colleghi i timori riguardo a pazienti che presentavano sintomi simili alla sindrome respiratoria acuta grave, diffusasi nella Cina meridionale nel 2002. Sono stati immediatamente ridotti al silenzio e puniti dalle autorità locali per “diffusione di voci prive di fondamento”.
“I medici cinesi hanno cercato di lanciare l’allarme sul virus. Se il governo non avesse minimizzato il pericolo, il mondo avrebbe potuto rispondere in modo più tempestivo“, ha commentato Bequelin.
In un post pubblicato un mese dopo, la Corte suprema del popolo ha contestato i provvedimenti presi dalle autorità di Wuhan nei confronti del personale medico: questa pronuncia è stata da molti interpretata come un riconoscimento delle preoccupazioni espresse dai medici.
Nondimeno, i tentativi di minimizzare la gravità dell’epidemia sono stati condivisi ai livelli più alti del governo cinese, come si è visto in occasione dei tentativi aggressivi della Cina, rivelatisi poi privi di successo, di non far dichiarare l’emergenza sanitaria globale da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità.
Il diritto alla salute
Il sistema sanitario di Wuhan è stato travolto dagli eventi. Il personale medico e le strutture sanitarie stanno lottando per gestire gli enormi numeri dell’epidemia.
Molti pazienti vengono respinti dagli ospedali dopo ore di attesa, le strutture mediche non hanno accesso ai fondamentali test diagnostici.
“La Cina deve assicurare che tutte le persone contagiate dal coronavirus abbiano accesso a cure mediche adeguate, a Wuhan e altrove. Contenere l’epidemia è importante ma lo sono anche la prevenzione e i trattamenti sanitari: ciò significa che il diritto alla salute dev’essere parte integrante della risposta all’epidemia“, ha sottolineato Bequelin.
“Sebbene l’Organizzazione mondiale della sanità stia incessantemente lodando la Cina, la realtà è che la risposta del governo di Pechino è stata e rimane altamente problematica“, ha aggiunto Bequelin.
Gli organi d’informazione locali riferiscono di persone non in grado di arrivare velocemente agli ospedali a causa del blocco dei trasporti pubblici e, in alcuni casi, di impossibilità di portare fuori di casa i corpi delle persone decedute.
La censura prosegue
L’insistenza delle autorità cinesi nel controllo dell’informazione e nell’evitare commenti negativi continua a determinare una censura nei confronti di informazioni talora legittime sul virus.
Dall’inizio della crisi sono stati censurati numerosi articoli, anche su quotidiani di larga tiratura.
“Le autorità cinesi rischiano di non far circolare informazioni che potrebbero aiutare la comunità medica a contrastare l’epidemia e le persone a proteggersi dall’esposizione al virus. Il fatto che alcune di queste informazioni non siano accessibili a tutti aumenta il rischio di esposizione al coronavirus e ritarda una risposta efficace“, ha precisato Bequelin.
Minacce e intimidazioni contro gli attivisti
Persone che hanno cercato di condividere informazioni sui social media circa il coronavirus sono state prese di mira dalle autorità cinesi. Ad esempio, il noto avvocato e giornalista Chen Qiushi ha denunciato di essere stato minacciato dopo aver diffuso online fotografie degli ospedali di Wuhan.
Un abitante di Wuhan, Fang Bin, è stato trattenuto per breve tempo dalle autorità locali dopo che aveva diffuso un video che mostrava apparentemente cadaveri di vittime del coronavirus.
“Confutare le notizie false è fondamentale ma lo è altrettanto la diffusione di accurate informazioni a carattere sanitario. Censurare legittime informazioni sui quotidiani o sui social media non è funzionale ad alcun obiettivo di salute pubblica”, ha commentato Bequelin.
Repressione a livello regionale delle “notizie false”
La diffusione del virus dalla Cina verso paesi del Sudest asiatico è andata di pari passo coi tentativi dei governi di mantenere il controllo sui flussi informativi. In Malesia, Thailandia e Vietnam ci sono stati arresti e multe per aver diffuso “notizie false” sui social media.
“I governi devono prevenire la disinformazione e fornire linee-guida sanitarie accurate e tempestive. Ogni limitazione alla libertà di espressione dev’essere proporzionata, legittima e necessaria. Una lezione che i governi del Sudest asiatico e di altre zone devono apprendere rispetto alla gestione dell’epidemia da parte delle autorità cinesi è che limitare la libertà d’informazione e sopprimere il dibattito in nome della ‘stabilità produce gravi rischi e può essere assai controproducente“, ha dichiarato Bequelin.
Discriminazione e xenofobia
Persone di Wuhan, anche quando non presentavano alcun sintomo, sono state respinte dagli alberghi e costrette a barricarsi in casa mentre informazioni personali su di loro circolavano in modo indisturbato sui social media.
Denunce di xenofobia contro i cinesi o in generale contro gli asiatici sono arrivate da altri paesi. In Corea del Sud, Giappone e Vietnam alcuni ristoranti hanno rifiutato l’ingresso a clienti cinesi, in Indonesia un gruppo di manifestanti ha costretto dei turisti cinesi a lasciare un albergo. In Australia e Francia alcuni quotidiani sono stati accusati di razzismo.
“Il governo cinese deve prendere tutte le misure necessarie per proteggere le persone dalla discriminazione. Analogamente, i governi degli altri paesi devono assumere un approccio da ‘tolleranza-zero’ nei confronti degli attacchi razzisti contro persone di origine cinese e asiatica. L’unico modo in cui il mondo può combattere l’epidemia è la solidarietà e la cooperazione transfrontaliera“, ha sottolineato Bequelin.
I controlli di frontiera e i provvedimenti di quarantena devono essere proporzionati
A seguito della diffusione del coronavirus, molti stati hanno chiuso le loro frontiere a persone provenienti dalla Cina o da altri paesi asiatici, altri hanno imposto rigide misure di quarantena.
Il governo australiano ha inviato centinaia di suoi connazionali in un centro di detenzione per immigrati sull’isola di Christmas, dove in precedenza l’Associazione medica australiana aveva denunciato condizioni “inumane” a causa delle sofferenze fisiche e mentali provate dai rifugiati che all’epoca vi erano trattenuti.
Papua Nuova Guinea ha chiuso le sue frontiere alle persone provenienti da tutti i paesi asiatici, compresi quelli in cui non sono stati confermati casi di coronavirus, col risultato che alcuni studenti papuani sono rimasti bloccati nelle Filippine.
La quarantena, che limita il diritto alla libertà di movimento, è giustificata dal diritto internazionale solo se si tratta di un provvedimento proporzionato, adottato nei tempi giusti e per motivi legittimi, strettamente necessario, ove possibile volontario e sempre applicato in modo non discriminatorio.
La quarantena dev’essere imposta con modalità sicure e rispettose e i diritti di coloro che vengono sottoposti a tale misura devono essere rispettati e protetti, con particolare riguardo alle cure mediche, al cibo e ad altre loro necessità.
“I governi stanno affrontando una situazione complicata e devono prendere misure sia per impedire l’ulteriore diffusione del coronavirus sia per assicurare che le persone contagiate abbiano accesso alle cure mediche di cui hanno bisogno“, ha concluso Bequelin.