Cosa sta succedendo in Iraq

12 Novembre 2019

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Una sommossa popolare sta infiammando l’Iraq centro-meridionale.

Le notizie che arrivano dal Paese sono poche e frammentate (complice anche il blocco delle linee internet imposto dal governo iracheno).

L’inasprimento dei tumulti nella capitale ha provocato una spirale di violenza con un bilancio di 109 morti.

L’inizio delle rivolte

Martedì 1 ottobre, migliaia di persone si sono riversate in piazza al-Tahrir a Baghdad. L’ondata di proteste si è presto propagata alle principali città dell’Iraq centro-meridionale. La scintilla che ha scatenato le sollevazioni sembrerebbe riconducibile alla controversa decisione di Abdul-Mahdi di rimuovere Abdul-Wahab al-Saadi – ufficiale al comando delle Forze antiterrorismo irachene molto popolare nonché veterano della campagna di liberazione contro lo Stato Islamico (IS) – per trasferirlo al ministero della Difesa.

La decisione di Abdul-Mahdi, che sarebbe avvenuta su pressioni di politici iracheni vicini all’Iran che vedevano con preoccupazione la popolarità di al-Saadi fra la popolazione, è parsa a molti una eccessiva concessione a Teheran da parte di alcuni esponenti politici filo-iraniani.

I motivi del malcontento

In tutti i centri urbani in cui si sono svolte proteste, le rivendicazioni della folla riguardano la corruzione dilagante nelle alte sfere delle istituzioni irachene, il tasso allarmante di disoccupazione giovanile (il 25% secondo le stime della Banca Mondiale), l’aumento del carovita, la carenza di servizi essenziali.

A questi motivi si aggiungono: la distribuzione settaria del potere, la bassa qualità dell’istruzione e i crescenti tassi di criminalità.

In larga misura i manifestanti sono giovani che protestano contro l’establishment iracheno dichiarandosi indipendenti da qualsiasi partito politico o fazione religiosa.

I numeri

Le stime sono tuttora variabili, ma il bilancio è certamente drammatico: ad oggi si contano centinaia morti e migliaia di feriti, principalmente fra manifestanti e attivisti, ma anche tra agenti delle Forze di sicurezza.

Chiunque dia voce al dissenso in Iraq oggi va incontro a interrogatori con una pistola puntata contro, minacce di morte e sparizione forzata – ha dichiarato in una nota ufficiale Lynn Maalouf, direttrice delle ricerche sul Medio Oriente di Amnesty International –. Le autorità irachene hanno promesso che avrebbero aperto un’indagine sulle uccisioni di manifestanti. È passata più di una settimana da quando le proteste si sono calmate, ma non c’è stata nessuna azione del genere. Invece, ciò che stiamo vedendo è una continuazione dello stesso approccio: quello della repressione a un prezzo scioccante per il popolo iracheno“.