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Una sommossa popolare sta infiammando l’Iraq centro-meridionale.
Le notizie che arrivano dal Paese sono poche e frammentate (complice anche il blocco delle linee internet imposto dal governo iracheno).
L’inasprimento dei tumulti nella capitale ha provocato una spirale di violenza con un bilancio di 109 morti.
Martedì 1 ottobre, migliaia di persone si sono riversate in piazza al-Tahrir a Baghdad. L’ondata di proteste si è presto propagata alle principali città dell’Iraq centro-meridionale. La scintilla che ha scatenato le sollevazioni sembrerebbe riconducibile alla controversa decisione di Abdul-Mahdi di rimuovere Abdul-Wahab al-Saadi – ufficiale al comando delle Forze antiterrorismo irachene molto popolare nonché veterano della campagna di liberazione contro lo Stato Islamico (IS) – per trasferirlo al ministero della Difesa.
La decisione di Abdul-Mahdi, che sarebbe avvenuta su pressioni di politici iracheni vicini all’Iran che vedevano con preoccupazione la popolarità di al-Saadi fra la popolazione, è parsa a molti una eccessiva concessione a Teheran da parte di alcuni esponenti politici filo-iraniani.
In tutti i centri urbani in cui si sono svolte proteste, le rivendicazioni della folla riguardano la corruzione dilagante nelle alte sfere delle istituzioni irachene, il tasso allarmante di disoccupazione giovanile (il 25% secondo le stime della Banca Mondiale), l’aumento del carovita, la carenza di servizi essenziali.
A questi motivi si aggiungono: la distribuzione settaria del potere, la bassa qualità dell’istruzione e i crescenti tassi di criminalità.
In larga misura i manifestanti sono giovani che protestano contro l’establishment iracheno dichiarandosi indipendenti da qualsiasi partito politico o fazione religiosa.
Le stime sono tuttora variabili, ma il bilancio è certamente drammatico: ad oggi si contano centinaia morti e migliaia di feriti, principalmente fra manifestanti e attivisti, ma anche tra agenti delle Forze di sicurezza.
“Chiunque dia voce al dissenso in Iraq oggi va incontro a interrogatori con una pistola puntata contro, minacce di morte e sparizione forzata – ha dichiarato in una nota ufficiale Lynn Maalouf, direttrice delle ricerche sul Medio Oriente di Amnesty International –. Le autorità irachene hanno promesso che avrebbero aperto un’indagine sulle uccisioni di manifestanti. È passata più di una settimana da quando le proteste si sono calmate, ma non c’è stata nessuna azione del genere. Invece, ciò che stiamo vedendo è una continuazione dello stesso approccio: quello della repressione a un prezzo scioccante per il popolo iracheno“.