Crisi dei diritti umani in Bahrein: occorre una forte azione internazionale

20 Aprile 2011

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Amnesty International ha sollecitato i paesi alleati del Bahrein ad agire con maggiore determinazione per risolvere la crisi dei diritti umani in rapido peggioramento nell’ultimo mese nel piccolo ma strategico paese del Golfo.

In un documento diffuso il 21 aprile e intitolato ‘Bahrein: una crisi dei diritti umani’, Amnesty International ha chiesto ai governi nordamericani ed europei, così solleciti recentemente a sposare la causa dei diritti umani in Libia, di prendere posizione anche su quanto sta accadendo in Bahrein. Per evitare l’accusa di usare doppi pesi e doppie misure, devono premere in modo più efficace sulle autorità bahreinite affinché queste rispettino gli obblighi internazionali sui diritti umani.

Il 16 marzo il governo del Bahrein ha inaugurato una repressione chiaramente pianificata e orchestrata, ricorrendo alla forza eccessiva per sopprimere le richieste di cambiamenti e riforme politiche. Le forze di sicurezza hanno usato pistole, proiettili di gomma, gas lacrimogeni e in alcuni casi munizioni letali, talvolta a distanza estremamente ravvicinata e in circostanze nelle quali il loro uso non poteva essere giustificato.

Le autorità del Bahrein hanno negato a una missione di Amnesty International, in visita nel paese dal 1° all’8 aprile, d’incontrare alti funzionari civili e militari di sicurezza, sostenendo che le informazioni sugli ordini dati alla polizia e all’esercito erano ‘un segreto di stato’.

L’incessante repressione, la dichiarazione di uno ‘stato di salvezza nazionale’ e l’uso di quest’ultimo per arrestare e imprigionare manifestanti e attivisti politici ha ulteriormente esacerbato le tensioni tra le comunità sciita e sunnita.

Nell’ultimo mese le autorità hanno arrestato oltre 500 persone, in maggior parte musulmani sciiti coinvolti nelle proteste. In quasi tutti i casi, a settimane dall’arresto, il loro destino rimane sconosciuto. Alcuni detenuti hanno dichiarato di essere stati sottoposti a maltrattamenti e torture dopo l’arresto.  Almeno quattro persone sono morte in carcere in circostanze sospette.

Tra le persone arrestate figurano anche medici e infermiere, soprattutto del Complesso sanitario di Salmaniya, il principale ospedale del Bahrein. Sebbene le ragioni del loro arresto non siano note, pare in tutta evidenza che siano stati presi di mira per aver preso parte alle proteste, aver soccorso i manifestanti feriti e aver criticato pubblicamente il governo. Testimoni oculari hanno riferito ad Amnesty International che, durante la repressione di marzo, le forze di sicurezza hanno lanciato gas lacrimogeni contro il Complesso sanitario, penetrando al suo interno e arrestando manifestanti feriti che stavano ricevendo cure mediche. Le forze di sicurezza hanno anche circondato la struttura impedendo ai feriti di farvi accesso.

Secondo altre fonti, alcuni medici del Complesso avrebbero rifiutato di curare lavoratori migranti asiatici. Il governo afferma che le sue forze sarebbero state costrette a prendere il controllo della struttura perché veniva usata come base logistica dai manifestanti.

Nonostante questi resoconti contrastanti,  appare evidente che sia le forze di sicurezza che alcuni manifestanti abbiano violato la neutralità medica del Complesso di Salmaniya.

Centinaia di persone che hanno preso parte alle manifestazioni, tra cui docenti universitari, insegnanti e personale sanitario, sono state licenziate da uffici pubblici e aziende private. Molti non hanno ricevuto lo stipendio di marzo.  Sebbene il motivo generalmente addotto per il licenziamento sia stato la violazione del contratto, appare chiaro che attraverso questi provvedimenti il governo abbia trasmesso il segnale che chi continuerà a protestare subirà conseguenze, anche per il tenore di vita.

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