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L’attivista cubano José Daniel García difficilmente ricorda un periodo in cui le autorità non abbiano controllato e bloccato i suoi movimenti e le sue telefonate.
Coordinatore dell’Unione patriottica di Cuba (Unpacu), un’organizzazione non riconosciuta che cerca di ottenere cambiamenti democratici con mezzi non violenti, José Daniel è stato arrestato in numerose occasioni come punizione per il suo attivismo.
Fin dall’inizio del suo impegno di attivista, negli anni Novanta, è stato detenuto arbitrariamente per brevi periodi di tempo e costantemente minacciato di essere arrestato.
Quando il 15 marzo 2003 due agenti della sicurezza gli dissero che aveva solo pochi giorni per porre fine alle sue attività di dissidente o sarebbe stato imprigionato per lungo periodo, la sua reazione fu una risata.
‘Mi avevano minacciato talmente tante volte, con così tanti anni di prigione, che non li prendevo più sul serio’ – racconta.
Tuttavia tre giorni dopo, il 18 marzo 2003, in quella che successivamente è stata soprannominata ‘la primavera nera’ da coloro che vi furono coinvolti, José Daniel venne arrestato, insieme ad altri 75 dissidenti politici, in una repressione senza precedenti contro il movimento dissidente sull’isola.
Vennero tutti incriminati per inesistenti reati contro la sicurezza dello stato e, al termine di processi sommari, furono condannati a pene che arrivavano fino a 28 anni.
José Daniel venne condannato a 25 anni con l’accusa di ‘atti contro l’indipendenza territoriale o l’integrità dello stato’. Durante il processo l’accusa chiese la pena di morte, la massima condanna per quel ‘crimine’. Tutto ciò che José Daniel aveva fatto era di aver collaborato a organizzare una campagna che chiedeva di introdurre, via referendum, riforme per una maggiore libertà personale, politica ed economica nel suo paese.
Amnesty International li dichiarò tutti ‘prigionieri di coscienza’ in quanto erano stati condannati esclusivamente per l’esercizio pacifico delle loro libertà fondamentali.
Durante la detenzione, José Daniel venne trasferito in diverse prigioni del paese e ciò rese difficili le visite di sua moglie e i suoi tre figli.
Nel luglio 2010, dopo l’intervento della Chiesa cattolica cubana, le autorità concordarono nel rilasciare tutti coloro che, del gruppo originario dei 75 dissidenti arrestati, ancora rimanevano in carcere. Tra questi c’era José Daniel.
I dissidenti politici vennero rilasciati a seguito di una ‘licencia extrapenal’, una condizione di rilascio per cui le accuse contro di loro non venivano cancellate ma che concedeva il permesso di scontare il resto della pena fuori dal carcere. La maggior parte degli attivisti, tuttavia, fu costretta all’esilio in Spagna.
José Daniel rifiutò di lasciare Cuba e venne definitivamente rilasciato nel marzo 2011.
Da allora, ha continuato a subire persecuzioni, la maggior parte sotto forma di brevi periodi di fermo di polizia, per scoraggiarlo a portare avanti il suo attivismo e a partecipare a incontri privati e a eventi pubblici. Gli agenti della sicurezza hanno anche effettuato incursioni a casa sua e confiscato il suo computer.
Nel 2012, è stato trattenuto per tre giorni a febbraio, per 27 giorni ad aprile (per ‘disordine pubblico’ e rilasciato solo a condizione di rinunciare al suo attivismo) e per 36 ore ad agosto.
‘Il catalogo di repressione e persecuzione di José Daniel García dal suo rilascio illustra l’attuale strategia delle autorità cubane: arrestare gli attivisti per un breve periodo di tempo per scoraggiarli dal parlare della situazione dei diritti umani nel paese’ – ha affermato Javier Zúñiga, consulente speciale di Amnesty International.
Secondo la Commissione cubana per i diritti umani, organizzazione cui è rifiutato il riconoscimento giuridico, nel febbraio 2013 vi sono state almeno 504 casi di fermo arbitrario. L’agenzia non ufficiale Hablemos Press parla di 50 giornalisti indipendenti e blogger fermati dall’inizio del 2013.
Divieto di viaggio
Nel gennaio 2012 è entrata in vigore una nuova legge che ha rimosso la necessità per i cubani di ottenere un permesso per viaggiare all’estero. Ciò ha reso più facile per i cubani lasciare l’isola e per quelli che vivono all’estero di tornarci.
La blogger Yoani Sánchez e la portavoce dell’organizzazione non governativa Donne in bianco, Berta Soler, hanno recentemente avuto potuto viaggiare all’estero, cosa che sembrava impossibile solo pochi mesi fa.
Quando ha saputo dell’abolizione del divieto di viaggio, José Daniel era cosciente che il cambiamento storico non avrebbe fatto per lui alcuna differenza. Il fatto che egli stia ancora scontando la sua condanna, sebbene fuori dal carcere, significa che non potrà chiedere il rilascio di un passaporto fino alla fine del 2028.
Amnesty International ritiene che José Daniel e gli altri attivisti arrestati nel 2003 e che ancora stanno scontando la pena fuori dal carcere, siano stati imprigionati solo per la pacifica espressione delle loro opinioni e che le loro condanne devono essere immediatamente cancellate.
Per gli attivisti imprigionati durante la repressione del 2003 e costretti all’esilio, come il giornalista Pablo Pacheco, l’alleggerimento delle restrizioni di viaggio difficilmente permetterà a loro e alle loro famiglie di tornare a Cuba.
Pablo è stato condannato a 20 anni di prigione sulla base della legge che proibisce di trasferire agli Usa informazioni che potrebbero essere usate per rafforzare le misure contro Cuba. È stato rilasciato nel 2010 a condizione che lui e la sua famiglia si trasferissero in Spagna.
‘Le condizioni di prigionia erano terribili: da solo in cella, senza luce e con il water dentro la cella. Ho perso 15 chili e ho subito danni a lungo termine a un ginocchio. La mia famiglia aveva il permesso di farmi visita solo una volta ogni tre mesi’- ha raccontato ad Amnesty International.
Pablo ricorda ancora chiaramente l’ultimo giorni trascorso a Cuba.
Venne trasferito direttamente dalla prigione all’aeroporto, dove incontrò sua moglie e suo figlio. Ha passato circa due anni in Spagna e poi si è trasferito a Miami perché la crisi economica nel paese europeo ha lasciato poche opportunità lavorative per lui e sua moglie.
Pablo ha detto ad Amnesty International che vuole tornare a Cuba perché lì vivono la sua famiglia e i suoi amici, ma non sarà pronto a tornare finché il paese non diventerà una vera democrazia.
Accuse inventate
Accuse inventate quali ‘mancanza di rispetto’, ‘disordine pubblico’, ‘disprezzo’ e ‘pericolosità’ sono ancora usate dal governo cubano per perseguitare i dissidenti.
Amnesty International ha recentemente dichiarato ‘prigionieri di coscienza’ due attivisti imprigionati esclusivamente per l’espressione pacifica delle loro opinioni. Il giornalista Calixto Martínez Arias, un membro fondatore di Hablemos Press, è stato arrestato il 16 settembre 2012 dalla polizia rivoluzionaria nei pressi dell’aeroporto dell’Avana. Stava indagando sulle voci che alcune medicine fornite dall’Organizzazione mondiale della salute per combattere l’epidemia di colera, erano bloccate all’aeroporto perché il governo stava cercando di minimizzare la pericolosità dell’epidemia.
Quando ha protestato per essere stato fermato, gli agenti lo hanno picchiato e gli hanno spruzzato contro spray al peperoncino. Lui ha gridato ‘abbasso Raúl’, ‘abbasso Fidel’ e di conseguenza è stato accusato di ‘mancanza di rispetto’ verso Raúl Castro e Fidel Castro. Deve ancora essere formalmente incriminato. Il 6 marzo 2013 ha cominciato uno sciopero della fame per protestare contro la sua detenzione.
Marcos Máiquel Lima Cruz sta scontando una sentenza di tre anni dopo essere stato fermato il 25 dicembre 2010 nella sua casa di Holguín per aver ascoltato canzoni di un gruppo hip-hop cubano i cui testi criticano la mancanza di libertà di espressione a Cuba e per aver danzato di fronte alla sua abitazione sventolando la bandiera di Cuba. È stato accusato di aver ‘insultato un simbolo della patria’e di aver creato ‘disordine pubblico’.
Per José Daniel, non ci sono stati miglioramenti nella situazione dei diritti umani a Cuba nei 10 anni trascorsi dalla ‘primavera nera’ del marzo 2003. L’alleggerimento delle restrizioni sui viaggi ‘è solo fumo negli occhi. Sarà ancora il governo cubano a decidere se si può lasciare il paese o meno. Tutte le altre libertà fondamentali sono represse e la repressione sta crescendo’.
Secondo Pablo Pacheco, tuttavia, ‘la società civile cubana ha perso la paura di parlare e il mondo deve sostenere i suoi sforzi’.