Dal presidente indonesiano rara ammissione sulle violazioni dei diritti umani del passato

12 Gennaio 2023

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L’11 gennaio, con una sorprendente dichiarazione, il presidente dell’Indonesia Joko Widodo ha ammesso, esprimendo “profondo rincrescimento” che in 12 casi tra il 1965 al 2003 vennero commesse “gravi violazioni dei diritti umani”.

Un’ammissione rara, se si considera per quanti decenni questo tema sia stato un tabù al punto tale che non una sola persona è stata mai condannata per quei crimini.

Ad agosto il presidente aveva istituito una commissione per individuare forme di riparazione per le vittime e formulare raccomandazioni per evitare il ripetersi di tali atrocità.

Il periodo coperto dall’ammissione, quasi 40 anni, va dalla repressione anti-comunista degli anni Sessanta, che causò mezzo milione di morti, alle operazioni militari dei primi anni di questo secolo contro i movimenti indipendentisti di Papua.

Tra gli altri casi citati nella dichiarazione di Widodo, figurano le stragi dei manifestanti che chiedevano riforme, nel biennio nero 1988-1999 in cui vennero uccise almeno 32 persone, molte delle quali studenti.

Nel discorso di Widodo ci sono molte omissioni. Non si fa cenno, ad esempio, alla sistematica violenza sessuale che accompagnò la repressione del movimento comunista e le operazioni militari nella provincia di Aceh, sotto legge marziale dal 1989 al 1998. Né si menziona il regime di terrore imposto durante e dopo l’occupazione e l’invasione di Timor Est, dal 1975 al 1999.

Inoltre, come ha sottolineato Amnesty International Indonesia, le ammissioni e le scuse resteranno semplici parole, benché importanti, se non saranno accompagnate dall’impegno a punire i responsabili, a risarcire i sopravvissuti e i parenti delle vittime e a porre fine all’impunità.