Dalla delegazione di Amnesty International a Lampedusa

5 Maggio 2015

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Di Conor Fortune, News Writer al Segretariato  internazionale di Amnesty International

Il 26 aprile una delegazione di Amnesty International è rientrata dalla Sicilia, dove ha raccolto – sia sull’isola principale che a Lampedusa – le dirette, sconvolgenti testimonianze di sopravvissuti ai recenti naufragi e ha incontrato le autorità locali, le quali hanno espresso indignazione per il modesto impegno dei leader europei rispetto alle operazioni di ricerca e soccorso in mare.

L’articolo  completo ‘Lampedusa: L’Isola Bella’s shadow of death’ è disponibile in inglese e online

Mare Nostrum

Il bilancio delle vittime dell’anno scorso sarebbe stato molto più alto senza Mare Nostrum – un’operazione di ricerca e salvataggio lanciata dalla Marina militare italiana nell’ottobre 2013.È stata la risposta italiana a ciò che era, al tempo, il più tremendo naufragio del paese, a poche centinaia di metri dalle coste di Lampedusa.

In quella tragedia, un’imbarcazione prese fuoco e affondò con più di 500 migranti a bordo, soprattutto eritrei e somali.Le immagini dei corpi morti che galleggiavano sull’acqua e lo spettro di centinaia di vite a rischio suscitò un grande clamore. Tutti, dall’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati alla Commissione europea e al Vaticano, chiesero un’azione urgente per prevenire il ripetersi di simili tragedie.

Il governo italiano rispose: entro 15 giorni la marina italiana s’impegnerà nell’operazione Mare Nostrum – ‘nostro’ mare – per prestare soccorso alle barche in pericolo e combattere i trafficanti di esseri umani.
Con Mare Nostrum, cinque navi della marina italiana erano pronte ad agire in qualsiasi momento, supportate da unità aeree e da uno staff di circa 900 persone. La sua area d’azione si estendeva fino a 100 miglia marine a sud di Lampedusa, dando aiuto alla zona costiera libica, dove avvenivano la maggior parte dei naufragi.

Questa spinta a salvare un maggior numero di vite umane ha dato i suoi risultato. Nel 2014, Mare Nostrum ha salvato oltre 166.000 persone, mentre aumentava il numero di uomini e donne disposti a compiere la rischiosa traversata. Ma in Europa, qualcuno ha storto il naso di fronte a questo sforzo unilaterale, lamentandosi che si stava incoraggiando l’arrivo dei migranti. Nel frattempo in Italia, altri protestavano che il paese non dovesse supportare da solo i costi di Mare Nostrum.

L’operazione si è chiusa a fine 2014, rimpiazzata da Triton, un’operazione di controllo delle coste europee con il mandato di agire all’interno di 30 miglia marine dal litorale italiano.

I migranti sono continuati ad arrivare, nonostante il brutto tempo e la chiusura di Mare Nostrum.

La capacità di ricerca e soccorso nel Mediterraneo si è ridotta, con risultati catastrofici.

I naufragi mortali e gli incidenti in mare sono diventati ancora più frequenti dalla fine di Mare Nostrum. Si stima che nel tragico evento del  18 aprile, quando un peschereccio si è capovolto ed è affondato, siano morti circa  820 migranti e rifugiati. L’Agenzia Onu per i rifugiati ha dichiarato che è stato l’incidente più tragico mai avvenuto nel Mediterraneo.La guardia costiera di Lampedusa continua a rispondere in modo coraggioso alle chiamate di soccorso. Sono ‘sempre pronti a salvare vite’, ci ha detto il capitano di corvetta Salvatore di Grande.
Tutto ciò che hanno a disposizione sono cinque piccole imbarcazioni di ricerca e salvataggio attraccate al porto di Lampedusa. Esse possono ospitare comodamente a bordo 40-50 persone, ma ne hanno viste anche 110 ammassate in casi di emergenza.

La crisi riduce la capacità di risposta della Marina militare. Recentemente ha ricevuto 20 diverse richieste di aiuto in un solo fine settimana. I mercantili di passaggio – che non sono equipaggiati per le operazioni di ricerca e salvataggio – hanno sempre più la responsabilità di colmare il vuoto lasciato da Mare Nostrum.

I sopravvissuti

L’aumentare di rifugiati e migranti che cercano protezione una vita dignitosa in Europa è motivo di un costante flusso di persone che passa per Lampedusa.

Quando abbiamo visitato il centro di accoglienza la scorsa settimana, vi erano 263 persone.

Un assistente sociale del centro ci ha riferito che, solo pochi giorni prima, c’erano fino a 1400 sopravvissuti, tra migranti e rifugiati, stipati in quella piccola struttura, progettata per ospitarne circa 380 per brevi periodi, prima del trasferimento in centri più grandi della Sicilia. Era così affollata che molte persone dovevano dormire all’aperto. Una pila di materassi ancora ammucchiati in un angolo del tetto lo testimoniava.

Le persone che abbiamo visto nel centro provenivano da diversi paesi – Nigeria, Somalia, Eritrea, Costa d’Avorio, Mali, Guinea e Senegal.

Durante la nostra visita, un gruppo di ragazzini ha improvvisato una partita di calcio, usando bottiglie d’acqua e rocce come pali della porta. Molti urlavano in francese o nella loro lingua madre. Ci sono state piccole divergenze, poi scomparse, su presunti falli.

Gruppi di ragazzi e uomini e poche donne sedevano ai bordi, guardando la partita o fissando il vuoto. Un bambino eritreo di non più di quattro anni giocava con un assistente sociale. Rideva e scarabocchiava sul mio taccuino senza dire una parola. Non era chiaro se ci fosse qualcuno che lo capisse.

Qualche curioso ha chiacchierato apertamente con noi quando ci siamo avvicinati. Altri sembravano indifferenti, distaccati e traumatizzati dal loro calvario. Un assistente sociale ha avvertito il nostro gruppo di lasciare sole due donne, in particolare.

Ali, un quindicenne somalo, ha raccontato la sua storia. Rimasto orfano da piccolo a causa del conflitto nel suo paese, ha deciso di partire per l’Europa con un viaggio pagato dal padre di un amico. Ha spiegato come, in un’odissea di tre mesi, ha attraversato il deserto con i trafficanti, ha dovuto seppellire il suo amico nel deserto, testimoniare su una tragica esplosione in Libia e poi è stato ammassato su una barca inadatta alla navigazione.

Ha aspettato per sei ore l’arrivo di aiuti dopo che la sua barchetta aveva iniziato a perdere aria. Ha descritto quel momento come ‘il peggiore della mia vita’. C’erano più di 70 persone stipate, tra cui 22 con ustioni gravi.’Mi sono sentito rinato’, ha raccontato Ali dopo il suo salvataggio. Migliaia di altri nella sua situazione non sono usciti vivi dalle acque.

Riavviare il salvataggio

Forse la cosa più incredibile dell’esponenziale aumento delle morti nel Mediterraneo è la facilità con cui l’Europa le potrebbe fermare.
‘C’è voluto poco più di un fine settimana per organizzare [Mare Nostrum]. La Marina militare italiana è pronta’ aveva precedentemente dichiarato il capito della Marina Massimiliano Lauretti. ‘Abbiamo procedure ben collaudate. Abbiamo fatto esperienza. Se ci viene chiesto, siamo in grado di riavviare un’operazione umanitaria in un tempo molto breve, 48-72 ore, più o meno’.
Ciò che manca è la volontà politica.

Un vertice d’emergenza a Bruxelles, la scorsa settimana, organizzato per fermare la crisi nel Mediterraneo ha risolto il problema a metà.
I fondi per l’operazione Triton saranno ora triplicati, ma rimane il fatto che non serviranno alle attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo, in particolare perché Triton sta dispiegando le risorse troppo vicino al litorale europeo.  C’è bisogno di un’operazione umanitaria per pattugliare le acque internazionali tra Lampedusa e la Libia, dove avvengono la maggior parte delle morti.