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Il 27 gennaio 2013, 77 minorenni detenuti nella prigione centrale della capitale dello Yemen, Sana’a, hanno iniziato uno sciopero della fame per protestare contro le condizioni detentive e la notizia che un loro compagno, Nadim al-‘Azaazi, era stato appena condannato a morte per un reato commesso quando aveva 15 anni.
Sessantasei dei 77 detenuti minorenni in sciopero della fame hanno redatto e firmato in arabo un documento di cui Amnesty International è entrata in possesso. Diversi di loro hanno terminato di scontare la pena ma rimangono in cella poiché non possono pagare la multa associata alla condanna.
Oltre all’annullamento della condanna a morte di al-‘Azaazi e di tutti gli altri minorenni nei confronti dei quali è stata inflitta la pena capitale, i detenuti in sciopero della fame chiedono garanzie che gli imputati minorenni siano processati dai tribunali minorili e secondo procedure rapide.
In alcuni casi, infatti, presunti rei minorenni sono costretti ad attendere anche più di tre anni prima del processo, che talvolta si chiude con un’assoluzione.
I detenuti in sciopero della fame chiedono inoltre la nomina, da parte dei tribunali, di periti qualificati appartenenti alla professione medica che possa ricorrere ai mezzi della tecnica moderna per verificare l’età di chi è sospettato di aver commesso un reato.
Le altre richieste riguardano la revisione di pesanti condanne inflitte per reati poco gravi, il rispetto e il riconoscimento del ruolo degli avvocati difensori, il diritto degli imputati minorenni a essere rappresentati da difensori di loro scelta, l’inadeguatezza degli spazi nelle celle così come l’assenza di finestre e persino di letti, l’abolizione degli esercizi fisici giudicati umilianti e delle punizioni inflitte arbitrariamente dalla direzione del carcere e la fine della corruzione nel sistema giudiziario, che consente di alterare i documenti in cambio di tangenti.
Dei 66 firmatari, 42 non riescono a incontrare i loro parenti da quando sono entrati in prigione, a causa della distanza dalla capitale. Per questo, hanno chiesto il trasferimento in istituti di pena minorili più vicino alle loro famiglie.