I decreti sicurezza hanno peggiorato la situazione dei migranti e dei richiedenti asilo in Italia

25 Novembre 2019

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Con l’entrata in vigore dei due decreti sicurezza, la situazione di migranti, rifugiati e richiedenti asilo arrivati in Italia ha subito un notevole peggioramento.

I provvedimenti hanno modificato, in alcuni casi in modo sostanziale, il sistema di accoglienza e le procedure che regolano la loro permanenza sul nostro territorio.

Decreti sicurezza: cosa cambia nel sistema di prima accoglienza

Il decreto sicurezza ha reso ordinaria la prima accoglienza all’interno dei CAS centri nati in via del tutto straordinaria, non migliorandone le condizioni iniziali ma peggiorandole. Il sistema di prima accoglienza (dedicata a chi ha fatto domanda di protezione), così come riorganizzato, penalizza i centri piccoli, favorendo le strutture che concentrano un alto numero di richiedenti asilo e penalizza i servizi finalizzati all’inclusione e all’inserimento.

Le grandi strutture, quindi, diventano più sostenibili rispetto a quelle piccole, nonostante proprio tra queste ultime siano individuabili la maggior parte degli esempi virtuosi di accoglienza.

Decreti sicurezza: la riforma degli Sprar

Cambia profondamente anche la seconda accoglienza: da Sistema nazionale per la protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati (Sprar) diventa Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati (Siproimi).

Questo significa, innanzitutto, che la seconda accoglienza diventa riservata esclusivamente a coloro che ottengono lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria, con un impatto negativo su tutti quei richiedenti asilo che vivono situazioni di particolare vulnerabilità (sanitaria, psicologica, psichiatrica ecc.) e per questo erano inseriti nello Sprar; queste persone, oggi, vedranno prolungata la propria permanenza nei centri di prima accoglienza che, per le ragioni illustrate qualche riga più su, sono sempre meno capaci di offrire sostegno di tipo sociale e psicologico.

Non potranno accedere alla seconda accoglienza, inoltre, i titolari della protezione speciale che va ad aggiungersi quale terza forma di protezione al posto di quella umanitaria.

Decreti sicurezza: l’ottenimento dei permessi di soggiorno

Il decreto ha abolito i permessi di soggiorno per motivi umanitari, tipologia di protezione che – fino all’entrata in vigore del dl – era affiancata allo status di rifugiato e alla protezione sussidiaria, ossia le due forme di protezione internazionale possibili.

La nuova legge ha introdotto, al posto della protezione umanitaria, una nuova forma di “protezione speciale” e alcuni casi di rilascio di particolari permessi di soggiorno. Questi, però, sono applicati al momento solo a una ristretta minoranza di richiedenti asilo, prevalentemente per due ragioni: la prima è che il sistema di accoglienza deve essere riorganizzato sulla base di tali categorie e questo processo richiede tempo; la seconda consiste in una generalizzata ritrosia a riconoscere tali status.

Se fino a settembre 2018 il tasso di riconoscimento di protezione umanitaria era intorno al 25%, con le nuove fattispecie tale percentuale è crollata al 12% di ottobre e al 5% di novembre.

A ottobre le richieste d’asilo pendenti erano 107.500. Di queste 107.500, prima dell’entrata in vigore del dl Sicurezza, circa 30.000 avrebbero avuto come esito la protezione umanitaria stando al tasso di riconoscimento medio. Oggi la maggior parte di queste 30.000 persone riceverà un diniego, diventando irregolare.

Le persone attualmente titolari di protezione umanitaria non potranno chiederne il rinnovo alla scadenza, non esistendo più tale permesso di soggiorno.

A peggiorare le cose, interviene anche una sentenza della Corte di Cassazione che si è espressa per un singolo caso a inizio novembre 2019.

In base alla sentenza, “il solo dato di essersi socialmente ed economicamente inseriti nella società italiana non è sufficiente per dare ai migranti il permesso di soggiorno per motivi umanitari“.

La Cassazione ha stabilito, infatti, che occorre comparare anche la “specifica compromissione” dei diritti umani nel paese di origine di chi richiede il permesso di soggiorno in Italia.

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