“Decreto legge Rave”: rischio di interpretazione discrezionale. Chiediamo l’abrogazione dell’articolo 5

23 Novembre 2022

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Il 22 novembre Amnesty International Italia è intervenuta in audizione nella commissione giustizia del Senato, per condividere le preoccupazioni sull’articolo 5 del cosiddetto decreto Covid-Rave party (DL 162/2022).

Il primo elemento di criticità è l’assenza di tassatività della norma. Ad oggi, infatti, non è specificato quando un raduno diventa pericoloso per l’ordine pubblico, l’incolumità o la salute pubblica e i termini utilizzati sono talmente ampi che si incorre nel rischio di un’interpretazione estensiva ed estremamente discrezionale della norma.

Un altro aspetto preoccupante è se la norma attualmente in discussione risponda al principio di necessità. In base all’articolo 21 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, ratificato dall’Italia nel 1978, le restrizioni al diritto di riunione pacifica sono possibili solo come risposta adeguata ad un’esigenza sociale pressante e necessaria, in ragione di interessi di sicurezza nazionale, di ordine pubblico o per tutelare la sanità o la morale pubbliche. Nonostante nella premessa del decreto si faccia riferimento alla  straordinaria  necessità  e urgenza  di  introdurre disposizioni in materia di prevenzione e contrasto del  fenomeno  dei raduni dai quali possa derivare un pericolo per l’ordine  pubblico  o la pubblica incolumità o la salute pubblica, non è chiaro quali siano le ragioni di necessità tali da richiedere l’adozione di una decretazione d’urgenza, in linea con l’articolo 77 della Costituzione.

Inoltre, il comma 2 dell’articolo 5 del decreto modifica l’articolo 4 del codice antimafia ed estende l’applicazione di misure preventive di sorveglianza speciale anche ai soggetti accusati del reato di  “invasione per raduni pericolosi”. Ricordiamo che l’applicazione di tali misure preventive, estremamente invasive dei diritti fondamentali, tra cui la libertà di movimento, di privacy e delle comunicazioni private, deve essere sempre giustificata dal principio di necessità e urgenza.

Infine, la norma potrebbe essere applicata anche a tipi di raduni diversi da quelli dichiarati nella relazione illustrativa del provvedimento di conversione, come quelli di protesta pacifica. A tal proposito, è bene ricordare che il diritto di protesta pacifica, in qualsiasi forma che essa possa assumere, è tutelato dall’articolo 21 del Patto internazionale per i diritti civili e politici. In particolare, il diritto di riunione pacifica non protegge solo le assemblee politiche, ma si estende anche a quelle di “carattere essenzialmente sociale”[1] e di intrattenimento e il diritto internazionale dei diritti umani protegge le assemblee pacifiche (non solo quelle legali), come stabilito dal Commento generale numero 37, paragrafo 16 del Comitato dei diritti umani delle Nazioni Unite sul Patto internazionale per i diritti civili e politici.

Inoltre, il commento generale  37, paragrafo 13 stabilisce che oltre all’assembramento fisico di persone inteso come riunione pacifica, devono essere tutelati anche agli atti di espressione collettiva attraverso mezzi digitali, ad esempio online. Sono considerate, infatti, parte integrante della riunione pacifica anche le azioni ad esse correlate, come ad esempio la pianificazione o la diffusione di informazioni su un evento imminente, che possono sì essere soggette a restrizione, ma pur sempre limitate. Nessuno deve quindi subire molestie o altre rappresaglie a causa della sua presenza o appartenenza a un’assemblea pacifica.

Inoltre, le assemblee pacifiche possono essere condotte, in linea di principio, in tutti gli spazi a cui il pubblico ha accesso o dovrebbe avere accesso, come le piazze e le strade pubbliche e, sebbene le norme relative all’accesso del pubblico ad alcuni spazi, come edifici e parchi, possano limitare il diritto di riunirsi in tali luoghi, tali limitazioni devono essere sempre giustificabili ai sensi dell’articolo 21 del Patto (General comment 37, par 55). Gli Stati, inoltre, sono obbligati a non reprimere o sanzionare partecipanti o organizzatori di assemblee pacifiche senza una causa legittima. Questo vale anche per assemblee in cui gli organizzatori non abbiano notificato le autorità, in quanto la mancata notifica non rende la partecipazione ad un’assemblea un atto illegale e non può essere utilizzata come base per imporre sanzioni o incriminare i partecipanti per reati penali.

Amnesty International, con la campagna globale Proteggo la protesta, lavora per garantire il diritto di riunione pacifica, chiedendo di modificare le legislazioni eccessivamente restrittive che limitano lo spazio civico, in particolare laddove queste potrebbero rischiare di limitare i diritti alla libertà di espressione, di riunione pacifica e di associazione. Per questo, e alla luce delle profonde perplessità sollevate, abbiamo chiesto alla commissione di abrogare l’articolo 5 del decreto 162/2022.

 

[1] Si veda ad esempio, Huseynov v Azerbaijan (2015) par. 91; Friend e altri (2009), par. 50