Sakis Mitrolidis
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Il 14 maggio la Corte di giustizia dell’Unione europea ha giudicato illegale la prassi dell’Ungheria di porre in detenzione i richiedenti asilo nelle cosiddette zone di transito prossime al confine con la Serbia.
La sentenza riguarda due famiglie, una iraniana e una afgana, che erano arrivate in Ungheria dalla Serbia rispettivamente nel dicembre 2018 e nel febbraio 2019 e che avevano chiesto asilo nella zona di transito di Röszke.
In base alle leggi vigenti in Ungheria, la loro richiesta d’asilo era stata giudicata inammissibile e le due famiglie erano state rinviate in Serbia, paese considerato “sicuro” dalle autorità ungheresi.
Dopo che la Serbia aveva rifiutato di riprenderle, l’Ungheria aveva modificato il provvedimento nei confronti delle due famiglie, sostituendo la Serbia con i due paesi di origine.
I richiedenti asilo avevano presentato ricorso contro la modifica del provvedimento, chiedendone l’annullamento e sollecitando l’apertura di una nuova procedura d’asilo.
Le due famiglie erano state detenute nella zona di transito rispettivamente per 464 e 526 giorni.
La decisione della Corte di giustizia dell’Unione europea è stata preceduta, nel novembre 2019, dalla sentenza “Ilias e Ahmed contro l’Ungheria” della Camera grande della Corte europea dei diritti umani: l’Ungheria ha violato i suoi obblighi in materia di diritti umani rinviando in Serbia richiedenti asilo senza valutare il rischio che lì avrebbero potuto essere sottoposti a trattamenti inumani e degradanti.
La Corte di giustizia dell’Unione europea è andata oltre, concludendo che il trattenimento dei richiedenti asilo nella zona di transito di Röszke in assenza di una decisione formale e di un giusto processo costituisce detenzione arbitraria.
Dal 2015 abbiamo documentato la progressiva restrizione dell’accesso alle procedure d’asilo, la detenzione arbitraria delle persone in attesa dell’esito della loro domanda, respingimenti violenti e diniego del cibo a coloro che erano in attesa di essere espulsi.