Difendere i diritti umani in Turchia è reato

24 Ottobre 2017

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Intervista a Andrew Gardner, ricercatore di Amnesty International sulla Turchia

Per quanto tempo hai lavorato in Turchia e come la situazione politica e sociale è cambiata in seguito al colpo di stato del luglio dello scorso anno?

Ho lavorato sulla Turchia per oltre 10 anni, anche prima di collaborare con Amnesty International, e vivo a Istanbul da quattro anni. Questo paese è completamente cambiato purtroppo. Soprattutto dopo quello che è accaduto a luglio. Qualsiasi paese sarebbe sotto shock dopo aver avuto i carri armati per strada ed elicotteri e aerei che sparavano dall’alto. Ci vorrà molto tempo per superare tutto questo. La preoccupazione è ora il giro di vite che ne è seguito, perché tutto sembra essere giustificato e accettabile per contrastare i cospiratori. Molte persone che non hanno nessun collegamento con il colpo di stato o con azioni criminali, vengono perseguite dal governo solo per le loro posizioni critiche. Tra le persone incriminate nell’ultimo anno, ci sono anche i leader di Amnesty International Turchia. Tutto questo ha creato un clima di paura, in cui giornalisti, difensori dei diritti umani, quelli che hanno posizioni politiche diverse dalla linea ufficiale vengono perseguiti. E il clima di paura esiste anche all’interno delle istituzioni, dove i lavoratori sono stati sospesi, licenziati o messi in carcere. La situazione sta progressivamente peggiorando.

Qual è il tuo lavoro al momento?

Il lavoro di Amnesty International come sempre è quello di monitorare la situazione generale dei diritti umani e il focus non è su di noi ma con i due leader di Amnesty International Turchia, Idil Eser e Taner Kiliç, direttrice e presidente dell’organizzazione, in carcere, siamo impegnati anche a seguire i loro casi, per fare tutto quello che possiamo per liberarli. Continuiamo a lavorare sulle violazioni subite dai difensori dei diritti umani e sulla tutela della libertà di stampa. Oltre a questo, da ora in avanti un’altra sfida importante sarà quella di monitorare l’equità dei processi.

Il 18 luglio, una corte turca si è espressa sul caso dei 10 attivisti, confermando la detenzione in attesa di processo per sei di loro, tra cui Idil, e rilasciando su cauzione gli altri quattro. Quali sono le accuse?

Da lungo tempo le autorità ormai ricorrono ad accuse di terrorismo per perseguire gli oppositori politici, che non sono coinvolti in alcuna azione violenta. Questa pratica è aumentata in maniera esponenziale. Migliaia di persone sono state incriminate per terrorismo, come è accaduto ai 10 attivisti arrestati nel contesto di un normale workshop di routine sui diritti umani a Buyukada. Sono accusati di appoggiare un’organizzazione terroristica e rischiano fino a 10 anni di carcere. Le imputazioni nei confronti di Idil sono particolarmente assurde e riguardano la sua partecipazione al workshop e due campagne di Amnesty International, una delle quali risale al 2013, quando lei ancora non lavorava per l’organizzazione.

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