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di Cristina Annunziata, Iran Human Rights Italia
Il bilancio sulle violazioni dei diritti umani in Iran resta drammatico e preoccupante. Nonostante gli accordi sul nucleare di Vienna, la progressiva abolizione delle sanzioni e un nuovo clima di dialogo e distensione nei rapporti internazionali, la Repubblica Islamica dell’Iran continua a essere una delle peggiori prigioni al mondo per giornalisti, difensori dei diritti umani, artisti, avvocati, sindacalisti, minoranze etniche e religiose, oltre a conservare il terribile primato, secondo solo alla Cina, di paese con maggior numero di esecuzioni capitali.
Un recente dossier a cura di Amnesty International fa luce sulla repressione sistematica subita dai difensori dei diritti umani: 45 storie di donne e uomini condannati per il loro impegno. Tra loro c’è Narges Mohammadi, 44 anni, una delle più importanti attiviste per i diritti civili, avvocata e vicedirettrice dell’associazione messa al bando Centro per i difensori dei diritti umani, in carcere a causa del suo attivismo con una condanna a 16 anni; l’avvocato per i diritti umani Abdolfattah Soltani, condannato nel 2011 a 13 anni di detenzione; l’attivista Atena Daemi, 29 anni, condannata nel 2015 a 14 anni di reclusione, pena poi ridotta a sette anni nel 2016, tra l’altro per “propaganda contro lo stato” e “insulto alla Guida suprema e alle istituzioni sacre”.
Attualmente nelle carceri iraniane sono detenuti più di 30 giornalisti. Ci sono stati più di 1.000 arresti, di cui quasi 500 nella sola capitale, Teheran, a seguito delle proteste che hanno scosso il paese dal 28 dicembre, durante le quali hanno perso la vita ben 22 persone, oltre a due giovani manifestanti, Vahid Heidari e Sina Ghanbar, morti in detenzione, i cui casi sono stati classificati come suicidio dalle autorità.
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