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Ritorna finalmente in Aula la proposta di legge contro la violenza o discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere.
Con una nota ufficiale la Rete nazionale per il contrasto ai discorsi e ai fenomeni d’odio si augura che la discussione sul disegno di legge contro l’omo-lesbo-bi-transfobia, la misoginia e la violenza di genere si possa concludere positivamente e in tempi rapidi con un’approvazione a larga maggioranza, per consentire – attraverso l’adeguamento normativo, massicce campagne di prevenzione e di formazione contro stereotipi e pregiudizi, e l’uso di un linguaggio rispettoso di tutte le identità – una risposta ferma ai crimini d’odio e alle prassi discriminatorie.
Il disegno di legge – di cui è relatore il deputato Alessandro Zan, e che unifica cinque disegni di legge di maggioranza e parte dell’opposizione – riguarda l’estensione della punibilità già prevista dagli artt. 604 bis e 604 ter c.p., per le condotte di commissione di atti discriminatori o istigazione alla commissione di atti discriminatori per motivi razziali, etnici, nazionali e religiosi, anche alle medesime condotte per motivi di genere, sesso, identità sessuale e orientamento sessuale. Non riguarda invece in alcun modo – è bene ricordarlo – la libertà di manifestare e esprimere convinzioni personali, come chiaramente espresso dall’art. 3 sul “pluralismo delle idee“, che riprende l’art. 21 della Costituzione.
Insieme alla perseguibilità di reati motivati da “stigma sessuale, in particolar modo nei confronti delle persone omosessuali e transessuali“, il ddl propone l’introduzione di strumenti di prevenzione del crimine e di assistenza alle vittime di questi reati, con l’obiettivo tanto di garantire tutele adeguate quanto di far emergere l’ampiezza e la gravità dell’odio omo-lesbo-bi-transfobico e misogino nel nostro paese, finora poco denunciato in mancanza di una norma specifica.
L’approvazione del ddl permetterebbe inoltre di far avanzare sensibilmente il dibattito sulla piena cittadinanza di tutte le persone, e di porre fine a gravi forme di discriminazione in palese contrasto con l’art. 3 della Costituzione.