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Salem Mohamed Beitelman, professore di Ingegneria marittima all’Università di Tripoli, è l’ultima vittima della crescente ondata di rapimenti da parte delle milizie in Libia, che dimostra una volta di più quanto l’assenza dello stato di diritto stia alimentando il caos e l’illegalità e mettendo in pericolo i civili.
I rapimenti di civili da parte delle milizie, spesso a scopo di riscatto, sono assai aumentati dal 2014 soprattutto nella Libia occidentale, dove centinaia di persone sono scomparse e i sequestri di persona sono diventati una realtà quotidiana.
Salem Mohamed Beitelman è stato rapito il 20 aprile mentre si stava recando al lavoro. La sua automobile è stata rinvenuta abbandonata, alle 10 di mattina, poco lontano dalla sua abitazione. Tutti i tentativi di rintracciarlo, da parte dei familiari, non hanno avuto esito.
“Il caso di Salem Mohamed Beitelman è emblematico del costante pericolo rappresentato per i civili dalle milizie, che continuano a terrorizzare la popolazione con una brutale campagna di rapimenti. Questo sequestro di persona mette anche in evidenza la complicità di esponenti politici ed autorità statali che finora non hanno saputo porre fine alle lucrose attività delle milizie”, ha dichiarato Heba Morayef, ricercatrice di Amnesty International sull’Africa del Nord.
“Le autorità devono prendere tutte le misure per fermare il ciclo di violenza e di paura, indagando in modo efficace sui rapimenti e portando i presunti responsabili di fronte alla giustizia”, ha aggiunto Morayef.
Il quartiere di Siyyad, dove Salem Mohamed Beitelman è stato rapito, è sotto il controllo di numerose milizie, alcune delle quali dovrebbero teoricamente operare sotto il controllo dei ministeri dell’Interno e della Difesa. Nessuna milizia ha finora rivendicato il rapimento e non è chiaro quale milizia stia tenendo Salem Mohamed Beitelman sotto sequestro.
Le preoccupazioni per Salem Mohamed Beitelman derivano anche dal suo stato di salute, per il quale il rapito ha bisogno di costanti cure mediche.
Per gli attivisti e i giornalisti locali, i sequestri di persona sono uno degli aspetti più terrificanti della vita quotidiana in Libia. Fonti di stampa hanno riportato i dati diffusi dall’ufficio di Tripoli per le indagini criminali, organo del ministero dell’Interno, secondo i quali dal 15 dicembre 2016 al 31 gennaio 2017 sono state rapite almeno 293 persone. Questo numero potrebbe essere più alto, dato che molte famiglie scelgono di non denunciare per timore di ritorsioni.
La maggior parte dei rapimenti è eseguito allo scopo di estorcere il più alto riscatto possibile, ma in altri casi vi si ricorre per negoziare scambi di detenuti o per ridurre al silenzio oppositori, giornalisti e difensori dei diritti umani che hanno denunciato l’operato delle milizie. Persone sono state rapite a causa della loro presunta opinione politica o affiliazione tribale oppure perché percepite come benestanti.
I gruppi armati e le milizie in lotta tra di loro commettono gravi violazioni dei diritti umani nella pressoché totale impunità. Anche quelle che operano alle dipendenze o sotto il comando dei ministeri dell’Interno e della Difesa del governo sostenuto dalle Nazioni Unite non sono sottoposte ad alcuna supervisione da parte delle autorità centrali.
“L’epidemia di rapimenti dimostra che nessuna delle fazioni che rivendicano legittimità sul territorio ne ha il controllo effettivo”, ha commentato Morayef.
“Ripristinare lo stato di diritto dev’essere una priorità assoluta. Le autorità devono assicurare che i presunti responsabili di sequestri di persona, sparizioni forzate e altri reati di diritto internazionale siano portati di fronte alla giustizia e sottoposti a procedimenti equi. È ora di porre fine alla diffusa cultura dell’impunità che finora ha protetto questi comportamenti criminali”, ha sottolineato Morayef.
Amnesty International chiede pertanto al Governo di accordo nazionale di avviare indagini approfondite su tutti i rapimenti di civili e di assicurare il rapido e incolume rilascio degli ostaggi, compreso Salem Mohamed Beitelman.
“Nei negoziati con le varie milizie e coi gruppi politici libici, la comunità internazionale non può più ignorare il fenomeno dei rapimenti. Chiudere gli occhi di fronte a questi orrendi crimini non farà altro che alimentare ulteriormente il ciclo dell’impunità”, ha proseguito Morayef.
È anche necessario, secondo Amnesty International, togliere protezione politica alle milizie attraverso la fine del finanziamento di quelle che sono responsabili di azioni criminali.
Amnesty International continua a chiedere alla Corte penale internazionale, che ha affermato di voler dare priorità nelle sue indagini ai crimini commessi dai gruppi armati, di prendere in esame i crimini commessi da tutte le parti in causa a partire dal 2011. Finora, non vi è stata alcuna indagine degna di questo nome sui crimini commessi dai gruppi armati affiliati ai governi succedutisi in Libia.
La comunità internazionale dovrebbe giocare un ruolo importante nel fornire sostegno alle indagini della Corte penale internazionale e assicurare il ripristino dello stato di diritto in Libia.