Due anni dopo la repressione delle proteste di Urumqi, continuano le violazioni nello Xinjiang

3 Luglio 2011

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Due anni dopo la soppressione delle manifestazioni di Urumqi, la capitale della Regione autonoma uigura dello Xinjiang, le autorità cinesi continuano a perseguitare gli uiguri che rivendicano pacificamente il diritto alla libertà d’espressione e che cercano di informare il mondo su come la Cina tratta questa minoranza.

Il 5 luglio 2009, gli uiguri scesero in piazza a Urumqi per protestare contro l’indifferenza delle autorità cinesi nei confronti dell’uccisione, il 26 giugno, di due lavoratori migranti uiguri in una fabbrica di Shaoguan, nel Guangdong. La manifestazione iniziò pacificamente ma, dopo l’intervento della polizia, si trasformò in una rivolta violenta. Secondo la versione ufficiale, morirono 197 persone, per lo più cinesi di etnia han. Pechino accusò, senza fornire prove, presunti agitatori stranieri per aver organizzato, diretto e istigato la violenza.

Le testimonianze oculari raccolte all’epoca da Amnesty International forniscono un quadro diverso e chiamano in causa l’uso eccessivo e non necessario della forza da parte della polizia cinese, che usò manganelli, gas lacrimogeni e anche armi da fuoco contro i manifestanti. Seguirono arresti di massa, sparizioni e torture. Le autorità cinesi tuttora rifiutano un’inchiesta indipendente sull’accaduto.

All’indomani delle proteste del luglio 2009, centinaia di persone vennero processate. Nove di esse vennero condannate a morte dopo giudizi sommari e altre condannate a lunghe pene detentive, solo per aver esercitato la loro libertà d’espressione, per esempio gestendo siti Internet che annunciavano le varie iniziative o informando fonti straniere sulla repressione.

Memetjan Abdulla, giornalista del canale uiguro della Radio nazionale cinese, è stato condannato nell’aprile 2010 all’ergastolo, con l’accusa di aver incitato alla rivolta traducendo in uiguro e postando sul sito uiguro Salkin appelli provenienti dall’estero in cui chiedeva di protestare per l’uccisione degli operai nel Guangdong.

Hairat Niyaz, un altro giornalista, sta scontando una condanna a 15 anni per ‘aver messo in pericolo la sicurezza dello stato’, a causa dei suoi scritti e di un’intervista rilasciata a un collega di Hong Kong dopo la rivolta del luglio 2009.

Per lo stesso reato, un terzo giornalista, Dilshat Paerhat, sta scontando una condanna a cinque anni. Su un sito di cui era amministratore, erano stati postati messaggi relativi alle proteste sebbene, secondo fonti informate, lui avesse provveduto a cancellarli.

Un quarto giornalista Tursanjan Hezin, gestore del sito Orkhun è stato condannato a sette anni al termine di un processo segreto. I suoi familiari hanno appreso della condanna solo nel luglio 2010.

La repressione nei confronti di chi cerca di diffondere informazioni sui fatti del 5 luglio e sul successivo giro di vite continua a rimanere alta.

Il 30 maggio 2011 Ershidin Israil, un uiguro della città di Gulja (Ili, in lingua cinese), è stato estradato in Cina dal Kazakistan. Le autorità di Pechino lo avevano additato come ‘principale sospetto terrorista’, dopo che nel settembre 2009 aveva denunciato a Radio Free Asia la morte sotto tortura di Shohret Tursun, un manifestante arrestato a Urumqi il 6 luglio 2009. Il 19 settembre le autorità avevano riconsegnato il cadavere, con evidenti segni di pestaggio, ai familiari pretendendo che fosse seppellito subito, senza autopsie.

Dopo la denuncia della morte sotto tortura di Shohret Tursun, decine di persone sono state prese di mira dalle autorità cinesi: un amico della famiglia Tursun, Abdusalam Nasir, e uno dei due fratelli di Ershidin Israil, Enver, hanno trascorso 10 mesi in carcere.

Alcuni giorni dopo l’intervista a Radio Free Asia, Ershidin Israil fuggì in Kazakistan e, nel marzo 2010, ottenne lo status di rifugiato dall’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr). Quando tutto sembrava pronto per il reinsediamento in Svezia, fissato al 1° aprile, le autorità kazache su pressioni di Pechino lo arrestarono.

Dal 23 giugno 2010 al 18 maggio 2011 i tribunali del Kazakistan hanno respinto cinque richieste di asilo. Nel frattempo, il 3 maggio 2011, senza fornire spiegazione, l’Unhcr aveva revocato lo status di rifugiato. Il 30 maggio, le autorità kazache hanno consegnato Ershidin Israil a quelle cinesi, che il 14 giugno hanno fatto sapere che l’uomo era in carcere.

Amnesty International chiede alle autorità cinesi di rilasciare immediatamente tutte le persone detenute solo per aver esercitato il loro diritto alla libertà d’espressione e di associazione e di rispettare i diritti degli uiguri a esercitare queste libertà.

Leggi il post ‘Due anni fa la repressione degli uiguri, oggi solo silenzio’

(5 luglio 2010) Cina: nuove testimonianze sui disordini di un anno fa nello Xinjiang   

(6 luglio 2009) Cina: Amnesty International chiede un’indagine equa e imparziale su quanto accaduto a Urumqi