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Egitto, attesa domani la sentenza per 739 imputati, tra cui il fotogiornalista Shawkan. Rischiano la pena di morte. Amnesty International: “Processo grottesco”
Amnesty International ha definito una “grottesca parodia della giustizia” il processo di massa nei confronti di 739 persone imputate di vari reati in relazione a una manifestazione svoltasi in piazza al-Rabaa, al Cairo, il 14 agosto 2013. Il verdetto è atteso domani, sabato 30 giugno. Molti degli imputati rischiano la pena di morte.
Tra gli imputati c’è il giornalista e prigioniero di coscienza Mahmoud Abu Zeid, conosciuto come Shawkan, arrestato mentre stava scattando fotografie durante la protesta. Amnesty International continua a chiedere che sia rilasciato immediatamente e senza condizioni.
“Risulta del tutto inconcepibile che oltre 700 persone siano giudicate lo stesso giorno, con la prospettiva di essere condannate a morte, in quello che è in tutta evidenza un processo gravemente irregolare che viola la stessa costituzione egiziana“, ha dichiarato Najia Bounaim, direttrice delle campagne sull’Africa del Nord di Amnesty International.
“Siamo di fronte a una parodia della giustizia, che getta un’ombra profonda sull’integrità dell’intero sistema giudiziario egiziano e si fa beffe del principio del giusto processo“, ha aggiunto Bounaim.
Tra i 739 imputati ci sono esponenti della Fratellanza musulmana, organizzazione messa al bando, accusati di aver partecipato a proteste non autorizzate, omicidio, incitamento a violare la legge, appartenenza a un gruppo illegale, manifestazione illegale e atti di violenza.
Durante il processo, la pubblica accusa non è riuscita a produrre prove per stabilire le responsabilità individuali di ciascuno dei 739 imputati, né la giuria ha insistito sulla necessità di farlo, contribuendo dunque a un procedimento fortemente ingiusto.
Amnesty International chiede alle autorità egiziane di assolvere e rilasciare tutte le persone arrestate per aver protestato in modo pacifico e di sottoporre a un processo regolare, senza ricorso alla pena di morte, o altrimenti rilasciarle, tutte le altre persone sospettate di aver commesso atti di violenza.
Shawkan, 30 anni, è accusato di 24 reati tra cui omicidio, manifestazione illegale e vari atti di violenza. Al momento dell’arresto, in quanto fotogiornalista stava seguendo la protesta. La pubblica accusa non ha presentato alcuna prova che abbia commesso un omicidio o altri atti di violenza.
Sulla base del diritto internazionale dei diritti umani, l’Egitto ha l’obbligo di rispettare il diritto alla libertà di manifestazione pacifica, garantito dalla stessa costituzione, e il reato di “manifestazione illegale” non dovrebbe essere considerato di natura penale.
Shawkan è in carcere dal 14 agosto 2013, giorno dello sgombero della manifestazione di piazza al-Rabaa. La sua lunga detenzione preventiva ha violato la stessa legge egiziana, che stabilisce una durata massima di due anni.
“Shawkan ha trascorso quasi quattro anni in attesa di un verdetto, il doppio di quanto stabilito dalla legge egiziana. Si tratta di una misura chiaramente punitiva, il cui obiettivo è ridurre al silenzio chiunque voglia fare giornalismo o attivismo in un modo considerato minaccioso dalle autorità egiziane“, ha commentato Bounaim.
Il 14 agosto 2013 le forze di sicurezza dispersero con la violenza le manifestazioni di piazza al-Nahda e piazza Rabaa al-Adawiya, causando almeno 900 morti e migliaia di feriti. Nessun esponente delle forze di sicurezza è stato chiamato a rispondere per quello che è ormai conosciuto come il massacro di piazza al-Rabaa.