Egitto, decine di civili ‘scomparsi’ e torturati nelle prigioni militari

22 Maggio 2014

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Decine di civili sono sottoposti a sparizione forzata e reclusi da mesi in un centro segreto di detenzione all’interno di una base dell’esercito egiziano, dove sono sottoposti a maltrattamenti e torture per costringerli a confessare reati.

Queste scioccanti rivelazioni sono state riferite ad Amnesty International da avvocati e attivisti egiziani, in possesso di un elenco di almeno 30 civili che si trovano in detenzione segreta nella prigione di Al Azouly, situata all’interno della base militare Al Galaa di Ismailia, 130 chilometri a nord est del Cairo.

Secondo le testimonianze di ex detenuti raccolte da Amnesty International, nei tre piani della prigione di Al Azouly potrebbero esservi fino a 400 persone, a cui non è permesso vedere avvocati e familiari e mai incriminati o fatti comparire di fronte a un giudice. Amnesty International non ha potuto stabilire autonomamente quanti prigionieri si trovino ad Al Azouly.

Dal novembre 2013, secondo gli avvocati e gli attivisti, le sparizioni forzate sono in aumento.  Dopo essere state catturate in strada o nelle loro abitazioni, le persone vengono portate ad Al Azouly. Non possono incontrare avvocati né familiari e le autorità negano che siano sotto la loro custodia.

Una volta che hanno ‘confessato’ sotto tortura la loro colpevolezza o hanno fatto  i nomi di altre persone, talvolta al termine di interrogatori che durano mesi, durante i quali vengono sottoposti a scariche elettriche, bruciature e altri maltrattamenti, i detenuti vengono portati di fronte ai magistrati che si occupano di reati contro la sicurezza dello stato.

Alcuni detenuti hanno dichiarato di aver ‘confessato’ qualsiasi cosa solo per uscire di prigione e porre fine alle torture.

Ecco la testimonianza di un ex prigioniero, rilasciato di recente dalla prigione di Al Azouly: ‘I soldati mi hanno arrestato a gennaio [del 2014], mi hanno portato in una base militare della mia città dove mi hanno picchiato per quattro ore, poi lo stesso giorno mi hanno trasferito ad Al Azouly. Lì sono rimasto per 76 giorni, senza vedere un magistrato. Non mi hanno neanche permesso di parlare coi miei familiari. Mi hanno messo al terzo piano, in isolamento‘.

‘Sono stato interrogato sei volte. Mi hanno denudato e colpito con le scariche elettriche su ogni parte del corpo, anche sui testicoli, e picchiato coi bastoni e gli scarponi militari. Mi hanno ammanettato dietro la schiena e appeso a una porta per mezz’ora. Durante gli interrogatori ero sempre bendato. Una volta mi hanno bruciato la barba con un accendino.  Le indagini si svolgevano da un’altra parte, negli uffici S1 e S8 [dei servizi segreti militari]. Non so chi m’interrogasse perché ero sempre bendato. Volevano sapere delle cose circa le proteste e le manifestazioni, chi era particolarmente attivo all’interno dell’università, chi aveva finanziato le proteste, chi aveva le armi, chi le aveva comprate, se io appartenessi ai Fratelli musulmani...’.

Dopo 25 giorni mi hanno trasferito in una cella con altri 23 detenuti, la maggior parte dei quali venivano dal Sinai. Uno dei prigionieri aveva delle bruciature sul corpo, disse che gli avevano spento addosso delle sigarette. Ci facevano uscire dalla cella una volta al giorno, prima dell’alba, per andare in bagno, cinque minuti in tutto per 23 detenuti. Il cibo era pessimo. Alla fine mi hanno rilasciato, senza alcuna decisione giudiziaria. Mi hanno preso dalla cella e fatto uscire dal cancello n. 2 della base militare‘.

Ecco una seconda testimonianza: ‘Sono stato arrestato a febbraio, a casa, da uomini della sicurezza in abiti civili. Mi hanno subito picchiato e poi trasferito ad Al Azouly. Mi hanno interrogato 13 volte. Ogni volta bendato, denudato, ammanettato con le mani dietro la schiena, colpito con le scariche elettriche su tutto il corpo, compresi i testicoli. Non mi hanno permesso di telefonare ai miei familiari. Allora, ho dato il loro numero di telefono a un prigioniero che stava per essere rilasciato che li ha avvisati. Un uomo che era in cella con noi, si chiamava Haj Shatewy e veniva dal Sinai, è stato torturato dalla Brigata militare 101. Gli hanno infilato un bastone rovente nell’ano e per nove giorni non è riuscito ad andare in bagno. Non lo hanno curato. È morto nella cella numero 11 del secondo piano. A maggio, alla fine delle indagini, mi hanno rilasciato‘.

Amr Rabee, uno studente d’Ingegneria dell’Università del Cairo, è stato arrestato in via Ramsis l’11 marzo da agenti della sicurezza in abiti civili. Per alcuni giorni i familiari lo hanno cercato nelle stazioni di polizia, negli uffici della magistratura e alla direzione per la sicurezza nazionale e, alla fine, il 15 marzo, hanno denunciato la sua sparizione. Le autorità hanno dichiarato di non saperne nulla. Ad aprile, i familiari di Amr Rabee hanno ricevuto una telefonata da un ex detenuto di Al Azouly. Amr Rabee si trovava nella base militare e non riusciva più a muovere il braccio sinistro a causa delle torture subite. Il 17 maggio, oltre due mesi dopo la sua sparizione, Amr Rabee è stato portato di fronte a un magistrato. Un avvocato che si trovava sul posto ha telefonato ai familiari che sono accordi immediatamente. Lì hanno appreso che Amr Rabee era stato arrestato nella sua abitazione di Al Haram il 17 maggio, ossia oltre due mesi dopo il suo effettivo arresto; hanno potuto incontrarlo per cinque minuti durante in quali hanno saputo che Amr Rabee era stato detenuto al Al Azouly, poi trasferito alla prigione Al Aqrab di Tora. Ha una spalla lussata.

Una donna che vive in una città a 250 chilometri di distanza dal Cairo ha raccontato ad Amnesty International che suo marito è stato arrestato durante un raid notturno nella loro abitazione, nel gennaio 2014, da uomini in abiti civili. Prima di portarlo via, lo hanno colpito con le scariche elettriche di fronte a lei. Nonostante ripetute richieste, ha potuto incontrarlo nella prigione Al Aqrab di Tora solo a maggio. Mostrava evidenti segni di tortura: ferite e tagli sulle mani, bruciature sulle braccia. Anche lui aveva una lussazione alla spalla. Ha dichiarato che volevano fargli confessare di aver preso parte a un attentato in cui erano stati uccisi dei soldati.