Egitto: gas lacrimogeni in piazza Tahrir

29 Novembre 2012

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Dalla caduta di Hosni Mubarak, gli egiziani sono tornati molte volte in piazza Tahrir , ma raramente le manifestazioni sono state così numerose.

Dopo la protesta di massa di martedì 27 novembre, si è iniziato a parlare di una seconda rivoluzione, la ‘Rivoluzione di novembre’.

Nel frattempo i sostenitori del presidente Morsi pianificano la loro risposta – una manifestazione in  piazza Tahrir che fa temere scontri.

Non molto tempo fa, i manifestanti chiedevano la fine del regime militare. Oggi in tanti scandiscono slogan contro Mohamed Morsi, il primo presidente eletto del paese e l’uomo in cui molti avevano riposto le speranze perché lo stato di diritto fosse ristabilito.

Invece, il presidente Morsi ha calpestato lo stato di diritto approvando un decreto che stabilisce che le sue decisioni non possono essere messe in discussione dalle autorità giudiziarie e che l’Assemblea costituente dell’Egitto non può essere sciolta.

Mohamed Morsi inoltre ha sollevato dall’incarico il procuratore e ha permesso che fossero aperte nuove indagini fossero aperte – se fossero emerse nuove prove – a carico di agenti  e ufficiali della polizia che i tribunali avevano assolto per le uccisioni di manifestanti, e aveva promulgato una nuova legge per ‘proteggere la rivoluzione’ che permettere la detenzione prima del processo fino a sei mesi per reati che comprendono atti a mezzo stampa, l’organizzazione di manifestazioni, gli scioperi e il ‘teppismo’.

Molti ci hanno raccontato che sentivano di non avere altra scelta se non quella di tornare nelle strade. Ma c’è paura e incertezze per i giorni che verranno. Si è già parlato di scontri tra sostenitori e oppositori del presidente Morsi in altre città dell’Egitto, e da entrambe le parti si preparano cortei nei prossimi due giorni.

Quando abbiamo visitato piazza Tahrir era tranquilla, ma nelle strade che portavano al parlamento e all’ambasciata statunitense c’era una situazione di stallo duratura e tesa tra i manifestanti e la polizia antisommossa.

Abbiamo visto la polizia lanciare ripetutamente gas lacrimogeni tra la folla; alcuni manifestanti hanno riposto lanciando bottiglie molotov. Ma erano in pochi, dietro c’erano la stragrande maggioranza, incontenibile di manifestanti pacifici.

Martedì, quando il gas si era dissolto, abbiamo trovato un giovane ragazzo seduto su un marciapiede con in mano un candelotto lacrimogeno vuoto di manifattura statunitense e con istruzioni scritte in una lingua che il ragazzo non capiva.

Camminando nei dintorni, abbiamo visto altri manifestanti con in mano simili candelotti e tutti si domandavano cosa farne e perché oggetti fabbricati in un posto così lontano venivano ancora una volta usati nelle strade del Cairo. Tutti i candelotti esaminati riportavano la data del marzo 2011 quindi erano stati venduti all’Egitto dopo la rivoluzione.

La verità è che i gas lacrimogeni sono diventati un’altra realtà quotidiana per molti egiziani del Cairo. Quando siamo fuggiti un altro gas lacrimogeno è esploso, abbiamo visto un altro venditore di strada  spingere stoicamente il suo carretto attraverso i fumi pungenti seguendo i manifestanti in ritirata verso piazza Tharir. Quando il gas ha cominciato a disperdersi, un uomo che faceva le consegne a domicilio per un ristorante ha cercato di oltrepassare la folla su una motocicletta suonando all’impazzata. I manifestanti parlavano e inviavano messaggi dai cellulari e cercavano di allontanare i venditori ambulanti.

Alcuni sono morti qui. All’ospedale al -Hilal del Cairo un dottore ci ha detto che uno dei manifestanti, Ahmed Negib, è morto il 25 novembre dopo essere stato colpito alla testa da una bilia  presumibilmente esplosa da una pistola in circostanze poco chiare. Un altro manifestante, Fathy Gharib, ricoverato all’ospedale il 27 novembre è morto dopo esser stato colpito durante la protesta di massa di piazza Tahrir.

I morti hanno alimentato la crescente rabbia contro le autorità. Si parlava anche di Mohamed Gaber Salah, un giovane adolescente morto il 20 novembre in una via Mohamed Mahmoud, durante una protesta.

Era lì per ricordare le 51 persone uccise in Egitto, molte delle quali morti in quella stessa via, un anno prima. Ha pagato con la sua vita. Islam Masoud, un altro giovane adolescente, è stato ucciso a Damanhour, nel nord dell’Egitto, durante uno scontro tra sostenitori e oppositori dell’ultimo decreto di Morsi.

Tornati in piazza Tahrir, abbiamo trovato una vecchia amica, Azza Hilal Ahmad Suleiman. Lo scorso dicembre era stata colpita dai soldati dopo che aveva cercato di proteggere una donna che manifestava. Adesso sorridendo gioiosamente ci ha chiesto cosa pensa il mondo esterno delle nuove manifestazioni.

Sorseggiando tè in piazza Tahrir martedì sera, abbiamo visto un corte dopo l’altro riversarsi in piazza;  centinaia di persone di tutti i ceti sociali, scandendo slogan contro il presidente che molti avevano votato solo mesi prima.

I giudici dell’Egitto hanno reagito al decreto di Morsi con indignazione perché attaccava la loro indipendenza. Uno sciopero indetto dall’Associazione dei giudici ha paralizzato i tribunali dell’Egitto compreso la più alta corte d’appello, la Corte di Cassazione.

Passando davanti a un tribunale chiuso, è stato profondamente inquietante rendersi conto come un presidente una volta era stato arrestato perché protestava per l’indipendenza della magistratura era diventato ora il suo più strenuo oppositore.

Mercoledì, mentre parlavamo  con l’attivista per il diritto all’alloggio, Manal Tibe, è arrivata la notizia che alla nuova Assemblea Costituente era stato lasciato un solo giorno per completare la costituzione. Mesi di lavoro, e forse il futuro delle generazioni venivano condensate nelle poche ore che restavano.

Manal, che era stata lei stessa in precedenza uno dei membri dell’assemblea  e una delle sole sette donne tra i 100 che formavano l’ente, si è detta incredula e arrabbiata per la decisione.

Si era dimessa perché non erano stati capaci di proteggere i fondamentali diritti umani come  i diritti delle donne, la libertà di religione e di espressione, o impedire i processi non equi di civili presso i tribunali militari né di impedire gli sgomberi forzati.

Come molti atri egiziani, aveva rinunciato molto tempo prima sperando che il processo di scrittura della nuova costituzione sarebbe stato inclusivo e consultivo. Ma quest’ultima decisione rappresentava un ulteriore colpo a un processo che avrebbe dovuto segnare il ritorno dell’Egitto ai diritti umani e allo stato di diritto.