Egitto: il governo deve proteggere i cristiani copti dagli attacchi mortali mirati nel Sinai del Nord

2 Marzo 2017

Cristiani copti in fuga - STRINGER/AFP/Getty Images

Tempo di lettura stimato: 8'

Le autorità egiziane devono offrire urgentemente protezione ai cristiani copti nel Sinai del Nord e fornire servizi essenziali e alloggi a centinaia di persone che sono state costrette a fuggire dalle loro abitazioni, a seguito dell’uccisione di sette persone della comunità in una serie di attacchi compiuti durante il mese scorso.

Il governo non è riuscito ad agire per proteggere i cristiani nel Sinai del Nord che hanno sempre affrontato rapimenti e omicidi da parte di gruppi armati nel corso degli ultimi tre anni. Le autorità non sono riuscite neanche a perseguire i responsabili di attacchi settari contro i cristiani altrove in Egitto, ricorrendo invece ad accordi di riconciliazione sponsorizzati dallo stato che, a volte, hanno incluso lo sgombero forzato delle famiglie cristiane dalle loro abitazioni.

Almeno 150 famiglie cristiane copte sono fuggite da al-Arish a seguito delle ultime violenze, secondo il ministro degli affari parlamentari. La maggior parte ha cercato riparo nel vicino governatorato di Ismailia in alloggi temporanei sovraffollati, senza un adeguato accesso ai servizi essenziali.

“Questa ondata spaventosa di attentati ha visto i cristiani copti nel Sinai del Nord braccati e uccisi da gruppi armati. Nessuno dovrebbe subire discriminazioni – per non parlare di attacchi violenti e mortali – a causa del loro credo religioso”, ha detto Najia Bounaim, vice direttrice campagne presso la sede regionale di Amnesty International a Tunisi.

“Le autorità egiziane hanno sempre fallito nel proteggere i residenti copti nel Sinai del Nord dagli attacchi violenti di lunga data e non devono deluderli ulteriormente ora. Il governo ha il preciso dovere di garantire l’accesso sicuro ad alloggio, cibo, acqua, servizi medici e altri essenziali a tutti coloro che sono stati costretti a lasciare le loro case a causa della violenza e delle persecuzioni.”

“Il governo deve anche porre fine all’impunità prevalente per gli attacchi contro i cristiani in altre aree del paese e porre fine alla sua dipendenza da offerte abituali di riconciliazione che alimentano ulteriormente un ciclo di violenza contro le comunità cristiane”.

Negli ultimi attacchi, sette cristiani copti sono stati uccisi nel Sinai del nord tra il 30 gennaio e il 23 febbraio. Il 19 febbraio un affiliato del Sinai del gruppo armato che si autodefinisce Stato Islamico ha anche trasmesso un video che minaccia la vita dei copti e rivendica la responsabilità per il bombardamento di una chiesa al Cairo nel dicembre 2016 che ha ucciso almeno 25 persone. Dal 2013, i gruppi armati con base nel Sinai hanno rapito un certo numero di cristiani a scopo di estorsione, in alcuni casi uccidendoli.

Majid Halim“, il cui nome è stato modificato per proteggere la sua identità, è fuggito da al-Arish al Cairo con sette membri della sua famiglia a seguito delle uccisioni del mese scorso. Egli ha raccontato ad Amnesty International che suo padre, che gestisce una cartoleria ad al-Arish, aveva ricevuto molte minacce nel corso degli ultimi due anni e la sua foto era stata pubblicata su Facebook insieme a un messaggio di incitamento alla violenza contro i cristiani copti che chiedeva loro di lasciare la città. Lui, il padre e il fratello sono stati costretti ad abbandonare le loro proprietà e  mezzi di sostentamento, tra cui tre negozi e la casa di famiglia composta da sei appartamenti.

Nabila Fawzy è stata testimone dell’uccisione di suo marito Saad Hakim e del figlio, Medhat Saad Hakim, da parte di uomini armati mascherati il ​​21 febbraio. Ha riferito ai media che alle 22.30 sentì bussare pesantemente alla porta della loro casa. Quando il figlio aprì la porta fu attaccato da due uomini armati che lo gettarono a terra e gli spararono alla testa. Lei uscì dalla sua stanza e lo vide disteso a terra con il sangue che gli usciva dal naso. Gli uomini armati la portarono fuori dalla casa e poi tornarono indietro e spararono al marito. Le chiesero se aveva oro o denaro, le presero la fede e saccheggiarono altri oggetti, prima di dare fuoco alla casa e uscirne.

Amnesty International ha parlato con il genero di Nabila, Sameh Mansour, il cui racconto di ciò che è successo è stato coerente con la descrizione degli eventi riferita da Nabila. Ha anche affermato che il 22 febbraio i suoi vicini gli dissero che due uomini mascherati erano venuti a casa sua e avevano bussato alla sua porta mentre lui era fuori a prendere accordi per la sepoltura dei suoi parenti rimasti uccisi. Il giorno dopo, lui e la sua famiglia si sono recati nel governatorato di Suez per la sepoltura. Lo stesso giorno anche uno dei suoi vicini, Kamel Abu Romany, che viveva a 150 metri di distanza dalla casa di Mansour, è stato ucciso da uomini armati. Mansour è fuggito con la sua famiglia lasciando la sua casa e il suo lavoro e ora vive in un alloggio temporaneo ad Ismailia. Sta anche cercando di inserire i figli piccoli in altre scuole a Ismailia.

“Le autorità egiziane devono garantire che coloro che sono fuggiti siano reinsediati in alloggi sicuri, abbiano accesso adeguato alle necessità di base e siano loro concesse opportunità di dedicarsi agli studi e al lavoro”, ha aggiunto Najia Bounaim.

Le autorità hanno anche il dovere di garantire che le proprietà degli sfollati interni non siano saccheggiate, sequestrate, distrutte o illegalmente occupate. Inoltre, le autorità devono stabilire le circostanze che consentono agli sfollati interni il ritorno volontario a casa in futuro o il reinsediamento in un’altra area del paese.

Gli attacchi contro la minoranza religiosa cristiana copta egiziana sono aumentati dopo la cacciata dell’ex presidente Mohamed Morsi nel luglio 2013. Chiese e case copte sono state date alle fiamme, membri della minoranza copta sono stati aggrediti fisicamente e le loro proprietà sono state saccheggiate. Molti episodi di violenza contro i cristiani si sono svolti nel governatorato di Minya nel corso dell’ultimo anno.

I governi egiziani successivi non sono riusciti ad affrontare questa discriminazione di lunga data contro i copti e l’aumento dei casi di violenza settaria, consegnando i responsabili dei crimini settari alla giustizia. Invece di perseguire i responsabili di questi attacchi violenti, il governo egiziano di Abdel Fattah al-Sisi ha continuato a fare affidamento su accordi di riconciliazione sponsorizzati dallo stato, che in alcuni casi hanno forzatamente sfrattato cristiani copti dalle zone dove sono minacciati.