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Il 29 ottobre Mohamed Hasan, un bambino sudanese di 12 anni, è stato mutilato e ucciso al Cairo da un uomo egiziano, poi arrestato il 1° novembre.
Appresa l’orribile notizia, decine di migranti e rifugiati sudanesi sono scesi in strada per protestare: un primo gruppo nel quartiere di Masaken Othman, dove viveva la vittima, un altro di fronte alla sede dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati a Città 6 ottobre, un sobborgo della capitale. Alla rabbia per l’uccisione di Hasan si è sommata quella per la violenza e la discriminazione che la comunità sudanese affronta quotidianamente.
Le forze di sicurezza hanno reagito disperdendo le due proteste pacifiche coi gas lacrimogeni e i cannoni ad acqua, hanno picchiato i manifestanti e hanno rivolto loro insulti razzisti.
Almeno 70 persone sono state arrestate, compresi alcuni membri della famiglia di Hasan e vicini di casa: 10 di esse sono ancora agli arresti. I pestaggi e gli insulti razzisti sono proseguiti anche durante la detenzione, in mezzo a domande su chi avesse finanziato le proteste e ad ammonimenti a “non sfidare lo stato egiziano”.
Il 2 novembre le forze di sicurezza hanno fatto irruzione nelle abitazioni e nei posti di lavoro di cinque attivisti sudanesi. Altri tre hanno ricevuto telefonate in cui sono stati minacciati di arresto o espulsione. Altri ancora sono stati costretti a nascondersi in luoghi più sicuri.