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All’alba del 24 febbraio otto prigionieri sono stati messi a morte nella prigione di Borg el-Arab, ad Alessandria d’Egitto.
I prigionieri facevano parte di un gruppo di 17 condannati alla pena capitale giudicati colpevoli da un tribunale militare, nell’ottobre 2018, degli attacchi a tre chiese copte e a un posto di blocco della polizia che avevano causato, l’anno prima, 88 vittime.
“Quegli attacchi furono sconvolgenti ed è positivo che i responsabili siano stati chiamati a risponderne. Ma un’esecuzione di massa, al termine di un processo irregolare in corte marziale nel corso del quale sono emerse denunce di sparizione forzata e tortura, non è il modo per assicurare giustizia“, ha dichiarato Philip Luther.
“L’uso della pena di morte in Egitto è aumentato a partire dal 2013. Spesso le condanne a morte vengono emesse al termine di processi fortemente irregolari. Chiediamo alle autorità egiziane di interrompere questa allarmante tendenza. Gli altri imputati condannati per quei terribili crimini devono essere nuovamente processati in un tribunale civile secondo criteri che corrispondano ai principi del diritto internazionale in materia di processi equi“, ha aggiunto Luther.
I processi in corte marziale sono di per sé iniqui in quanto tutto il personale dei tribunali, dai giudici ai procuratori, è composto da militari in servizio attivo che dipendono dal ministero della Difesa e possono non avere la necessaria formazione sulla procedura e sugli standard relativi all’equità dei processi.
Secondo una dichiarazione congiunta del Fronte egiziano per i diritti umani e del Comitato per la giustizia, numerosi imputati in quel processo hanno denunciato di essere stati sottoposti a sparizione forzata e a tortura.