El Salvador: sistematiche violazioni dei diritti umani in un anno di stato d’emergenza

3 Aprile 2023

Photo by MARVIN RECINOS/AFP via Getty Images

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Un anno di stato d’emergenza, proclamato nel marzo 2022 per stroncare la violenza dei gruppi criminali, ha causato gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani: oltre 66.000 arresti, per lo più arbitrari; maltrattamenti e torture; diniego del giusto processo; e, soprattutto, la morte in custodia dello stato di almeno 132 persone che, in quel momento, non erano state giudicate colpevoli di alcun reato.

Questo tragico bilancio è stato il risultato del coordinamento e della collusione tra i poteri esecutivo, legislativo e giudiziario, dell’introduzione di un quadro giuridico contrario agli standard internazionali sui diritti umani e della mancata adozione di provvedimenti idonei a prevenire violazioni dei diritti umani sotto lo stato d’emergenza.

Lo stato d’emergenza era stato dichiarato il 27 marzo 2022 dopo 87 omicidi nei due giorni precedenti e la fine dei negoziati tra il governo di Nayib Bukele e le bande criminali per ridurre il numero delle uccisioni in cambio di alcuni benefici.

Per un anno, sono state sospese garanzie procedurali come la presunzione d’innocenza e il diritto alla difesa, il ché ha dato luogo all’imprigionamento di oltre 66.000 persone in tempi record, anche sulla base di accuse anonime, di precedenti penali o persino di tatuaggi. Amnesty International ha documentato una cinquantina di casi di arresti e imprigionamenti di massa.

Le udienze si sono svolte in modo sommario, per lo più da remoto, con un giudice anonimo in grado di processare contemporaneamente fino a 500 persone senza alcuna prova che avessero commesso reati.

Il numero delle persone morte nelle mani dello stato è arrivato, alla fine del marzo 2023, a 132. Le organizzazioni salvadoregne per i diritti umani temono, tuttavia, che sia molto più alto, dato che si segnalano casi di riesumazione dalle fosse comuni di persone morte mesi prima.

Amnesty International ha documentato almeno 10 casi di decessi in custodia, nella maggior parte dei casi a seguito di torture e di trattamenti crudeli e degradanti da parte di agenti di polizia e di guardie penitenziarie o per diniego di cure mediche. Alcuni detenuti scarcerati con messa alla prova hanno dichiarato di aver assistito a pestaggi mortali nei confronti di compagni di prigionia, allo scopo di estorcere confessioni o di punirli.

L’Istituto di medicina legale e gli ospedali dove le vittime erano state ricoverate prima del decesso hanno emesso certificati di morte per “asfissia meccanica”, “traumi multipli” e “percosse”. A oggi, nessun familiare è stato informato circa eventuali indagini aperte per accertare le cause di queste morti.

Tra i provvedimenti che hanno accompagnato lo stato d’emergenza, c’è un emendamento al codice di procedura penale che consente l’uso indiscriminato della detenzione preventiva. Ne è derivato un enorme problema di sovraffollamento delle prigioni: celle con oltre 100 detenuti nelle quali veniva anche spruzzato lo spray al peperoncino, assenza di servizi igienici, mancanza di acqua, cibo, medicinali e cure mediche, diffusione di malattie.

Attualmente, con oltre 100.000 detenuti, circa l’1,5 per cento della popolazione del paese, El Salvador ha il più alto livello di incarcerazione al mondo.

L’impunità è dominante. Su nessuno dei 50 casi documentati da Amnesty International è emerso che fossero in corso indagini.

Lo stato d’emergenza ha avuto un impatto sproporzionato sulle persone che vivono in povertà nelle zone più marginalizzate del paese e, dunque, storicamente più esposte alla violenza delle bande criminali.

Migliaia di famiglie sono state colpite dal punto di vista economico perché il principale, se non l’unico, percettore di reddito era finito in carcere e a causa delle spese sostenute per dimostrarne l’innocenza e garantire la sua alimentazione e la sua salute in carcere.

Ne sono derivati l’aumento dell’abbandono scolastico e del lavoro minorile, nuovi sfollamenti forzati e maggiori oneri e responsabilità per le donne.

Amnesty International ha nuovamente sollecitato il governo del presidente Bukele e altre autorità salvadoregne a porre fine allo stato d’emergenza, ripristinare i diritti sospesi da un anno, avviare indagini indipendenti sulle drammatiche conseguenze dei provvedimenti adottati e assicurare misure riparatorie per le vittime.