Esame periodico universale Onu alla Libia. Amnesty International chiede di occuparsi delle torture diffuse

11 Novembre 2020

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Esame periodico universale Onu alla Libia. Amnesty International chiede di occuparsi delle torture diffuse

Secondo Amnesty International, il dilagare delle torture ad opera di milizie e gruppi armati affiliati al Governo di accordo nazionale (Government of National Accord – Gna) libico e di rivali che hanno il controllo de facto del territorio a causa di presunte o reali affiliazioni regionali, politiche, di tribù o famiglie è stato alimentato dal diffuso senso di impunità.

Lo ha dichiarato Amnesty International in occasione dell’Esame periodico universale (Universal Periodic Review – Upr) della Libia dell’11 novembre, chiedendo agli stati di utilizzare il meccanismo per raccomandare alle autorità libiche di proteggere tutti i detenuti da torture e altri maltrattamenti, condurre indagini su tutti gli episodi di morte e torture avvenuti durante la detenzione e portare i responsabili davanti la giustizia.

“Le torture dilaganti affliggono da tempo la Libia ma la recente circolazione di video che ritraggono le violazioni prova la spavalderia acquisita da chi le commette. La comunità internazionale deve utilizzare il meccanismo di esame per i diritti umani del Consiglio delle Nazioni Unite per denunciare la vergognosa situazione delle torture in Libia e per interrompere questo ciclo di impunità”, ha dichiarato Diana Eltahawy, vicedirettrice regionale di Amnesty International per il Medio Oriente e il Nord Africa.

“Continuiamo a raccogliere prove strazianti sull’impiego diffuso di torture in Libia da parte dei membri delle milizie e di gruppi armati nei confronti di manifestanti, presunti oppositori, familiari di combattenti di fazioni opposte, rifugiati e migranti. Ci sono persone che hanno subito gravi pestaggi, abusi sessuali, sono state legate in posizioni di stress e umiliate, il tutto nella più totale impunità”, ha proseguito Diana Eltahawy.

La portata del problema è chiaramente illustrata dai video che ritraggono le torture e che vengono resi pubblici, a volte anche tramite dirette Facebook. Gli ufficiali o chi è al comando delle forze responsabili non hanno intrapreso alcuna azione per svolgere delle indagini o perseguire gli autori, neanche nei casi in cui i video mostrino i volti dei responsabili e delle vittime.

Un filmato trasmesso in diretta su Facebook il 23 settembre 2020, verificato da Amnesty International, mostrava un uomo che urlava, che veniva deriso e umiliato mentre era appeso a un tubo metallico con le braccia. Le fonti hanno dichiarato ad Amnesty International che il video era stato trasmesso in diretta sulla pagina Facebook privata del comandante dell’80esima brigata della polizia di frontiera, un gruppo armato della città nordoccidentale di Zintan con alleanze mutevoli con le parti in guerra. Il video è stato poi rimosso dalla sua pagina Facebook. Non è stata condotta alcuna indagine e resta in servizio.

Rapiti e poi torturati

Le milizie e i gruppi armati rapiscono e torturano con regolarità voci critiche, rivali o coloro che ritengono essere oppositori a causa dei propri legami familiari, di tribù o regionali. Alcune vittime sono morte per le ferite riportate durante le torture.

Secondo informazioni raccolte da Amnesty International, gli uomini della 128esima brigata, un gruppo affiliato alle sedicenti Forze arabe armate libiche (Libyan Arab Armed Forces – Laaf), conosciute anche come Esercito nazionale libico (Libyan National Army – Lna), hanno rapito Tarek Abdelhafiz davanti al suo negozio il 26 giugno 2020. Era detenuto presso la base della brigata nella città sudoccidentale di Houn, dove è stato pesantemente picchiato, lasciato in sospensione per periodi prolungati, senza cibo né acqua. Il suo corpo senza vita è stato gettato davanti all’ospedale cittadino due settimane dopo. Le fotografie del corpo, il referto medico iniziale e l’esito dell’autopsia, esaminati da Amnesty International, sono coerenti con le informazioni secondo le quali aveva subito gravi pestaggi ed era stato tenuto in sospensione dai polsi.

Il comandante della brigata ha rifiutato di spiegare i motivi dell’arresto davanti alle autorità giudiziarie. Ahmed, il fratello di Tarek Abdelhafiz, è stato preso a settembre del 2019. Restano sconosciuti il suo destino e dove si trovi esattamente.

I familiari degli oppositori e dei combattenti vengono presi di mira per vendicare i presunti crimini dei loro familiari. Secondo le informazioni raccolte da Amnesty International, il corpo pieno di lividi di Bassem el-Melety è stato scoperto ore dopo che era stato prelevato dalla sua abitazione nella città di Tarhouna il 31 ottobre 2020.

Era stato prelevato da uomini armati delle forze di supporto alla Direzione della sicurezza di Tarhouna, milizie alleate al Gna libico. Il 2 novembre 2020, il gruppo aveva confermato l’arresto del trentaduenne Bassem el-Melety in un post di Facebook, supponendo che suo fratello, presunto membro del gruppo armato al-Kaniat alleato delle Laaf, fosse responsabile di alcuni reati a Tarhouna. Sostenevano che Bassem el-Melety soffrisse di malattie croniche e fosse morto mentre era detenuto. Il post è stato poi cancellato. Fonti attendibili hanno dichiarato ad Amnesty International che non soffriva di gravi malattie o patologie prima del suo arresto.

Questa non è la prima ritorsione da parte delle milizie affiliate al Gna nei confronti dei familiari di combattenti alleati alle Laaf a Tarhouna e in altre parti della Libia occidentale. Nel giugno 2020, Amnesty International ha documentato molti casi simili.

Rifugiati e migranti

Rifugiati e migranti vengono sistematicamente torturati. Mentre sono detenuti, subiscono regolarmente violenze da parte dei membri delle milizie, dei gruppi armati e dei trafficanti, così come da parte dei funzionari del Dipartimento per la lotta alla migrazione illegale (Department for the Combat of Illegal Migration – Dcim), controllato dal ministero degli Interni del Gna. Ex detenuti hanno dichiarato ad Amnesty International che le sentinelle del Dcim li avrebbero regolarmente picchiati per essersi lamentati delle loro condizioni, “per aver risposto” o a volte senza una chiara ragione.

L’Esame periodico universale della Libia

Il governo libico ha dichiarato nel proprio rapporto del 2020 al Consiglio dei diritti umani che il sistema giudiziario del paese è già in linea con il diritto umanitario internazionale. Tuttavia, la relazione non ha fornito dettagli sulle azioni intraprese per mettere fine al ricorso sistematico alle torture o per far sì che i responsabili ne rispondano.

“I membri del Consiglio dei diritti umani dovrebbero anche chiedere alle autorità libiche di cooperare pienamente con la Missione indipendente di ricerca per la Libia di recente istituzione al fine di indagare su violazioni e abusi dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale, comprese le torture, e con il Tribunale penale internazionale per le indagini”, ha concluso Diana Eltahawy.

Ulteriori informazioni

• Il 23 ottobre 2020, il Governo di accordo nazionale e le Forze armate arabe libiche hanno firmato un accordo per il cessate il fuoco per mettere fine al loro conflitto. Hanno condotto delle trattative grazie alla Missione di supporto dell’Onu in Libia per mettere fine allo scontro.
• A giugno del 2020, il Consiglio per i diritti umani ha approvato una risoluzione per creare una missione di ricerca al fine di documentare presunte violazioni e abusi del diritto umanitario internazionale in Libia, ad opera di tutte le parti dall’inizio del 2016, con lo scopo di assicurare che gli autori delle violazioni o degli abusi fossero chiamati a risponderne.
• I membri del Consiglio Onu dei diritti umani sono riuniti per esaminare la situazione dei diritti umani in Libia e dare delle raccomandazioni alla Libia su come affrontare gli obblighi del paese in materia di diritti umani attraverso il processo dell’esame periodico universale. Amnesty International ha pubblicato la sua lista di raccomandazioni.
• Da febbraio 2011, il Tribunale penale internazionale ha competenza in materia di crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi in Libia.