Etiopia: porre fine alle detenzioni arbitrarie di tigrini, attivisti e giornalisti ad Addis Abeba

16 Luglio 2021

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Secondo quanto dichiarato quest’oggi da Amnesty International, la polizia di Addis Abeba ha arbitrariamente arrestato e detenuto decine di tigrini senza un giusto processo, dopo la riconquista della capitale della regione del Tigrè, Macallè, da parte delle forze del Fronte di liberazione popolare del Tigrè (Tplf), che si autodefiniscono anche Forze di difesa del Tigrè (Tdf), il 28 giugno. Sembra che gli arresti siano avvenuti sulla base di motivi etnici, considerato che ex detenuti, testimoni e avvocati hanno raccontato che la polizia controllava i documenti d’identità prima degli arresti e dei trasferimenti in centri di detenzione.

“Dopo il ritiro delle Forze etiopi di difesa nazionale da alcune zone del Tigrè e l’annuncio di un cessate il fuoco unilaterale da parte del governo federale il 28 giugno, nelle ultime due settimane tigrini sono stati arrestati e detenuti arbitrariamente ad Addis Abeba. Ex detenuti ci hanno riferito che le stazioni di polizia sono piene di persone che parlano il tigrino e che le autorità hanno condotto grandi arresti di massa di tigrini”, ha dichiarato Deprose Muchena, direttore di Amnesty International per l’Africa orientale e meridionale.

“Amnesty International chiede al governo etiope di mettere urgentemente fine a questa ondata di arresti arbitrari e di assicurare che tutti i detenuti siano o tempestivamente accusati di reati riconosciuti a livello internazionale e ricevano un processo equo o siano rilasciati immediatamente e incondizionatamente. Inoltre, il governo deve informare le famiglie del luogo in cui si trovano le persone detenute e garantire l’accesso ad avvocati e familiari”, ha proseguito Deprose Muchena.

Mentre alcune persone sono state rilasciate su cauzione, altre centinaia sono ancora detenute e non si conosce il luogo in cui si trovano. Amnesty International non è a conoscenza di alcuna incriminazione riconosciuta a livello internazionale nei confronti di coloro che si trovano ancora in regime di detenzione e che sono stati arrestati in questi casi documentati dall’organizzazione.

Il diritto etiope stabilisce che la polizia ha l’obbligo di condurre i detenuti in tribunale entro 48 ore dall’arresto per esaminarne le motivazioni. La tempestività di tale azione costituisce un’importante tutela contro torture, maltrattamenti e sparizioni forzate.

 

Picchiati, molestati, arrestati

Amnesty International ha intervistato a distanza 14 persone ad Addis Abeba, tra cui ex detenuti, testimoni oculari degli arresti, familiari e avvocati delle persone ancora detenute.

Un uomo che venerdì 2 luglio era stato arrestato nella zona di Merkato ha riferito all’organizzazione che agenti di polizia hanno fatto irruzione nella sua sala da biliardo alle 19 circa. Hanno iniziato a molestare e picchiare clienti e dipendenti e hanno chiesto di vedere i loro documenti d’identità prima di portare via cinque persone, tutte di etnia tigrina, nella vicina stazione di polizia di Woreda 6. Le carte d’identità in Etiopia indicano l’etnia del titolare. L’esercente, che figurava tra gli arrestati, ha detto:

“Ci hanno tenuto all’aperto ed è piovuto per tutta la notte. Siamo rimasti lì anche il giorno seguente, il sabato. Nel corso della giornata di sabato, ci hanno raggiunto altre persone di origine tigrina. Quel giorno in stato di arresto eravamo 26 tigrini”.

Diciannove persone sono state rilasciate il giorno seguente, alcune dopo aver pagato una cauzione, ma le altre sono state portate nell’area di Awash Arba nella regione di Afar, 240 chilometri ad est di Addis Abeba, secondo quanto riferito dalle persone ascoltate da Amnesty International. L’esercente è stato rilasciato il sabato sera, solo per poi sapere che il fratello era tra le persone detenute ad Awash Sebat. Ha dichiarato:

“Il giorno dopo mi hanno detto che avevano arrestato anche mio fratello. Ci ha chiamato da Awash Sebat con il numero di un’altra persona. Ci ha detto che la polizia l’aveva portato lì insieme a molte persone. Conosco alcune delle persone che sono state arrestate insieme a lui”.

Tsehaye Gebre Hiwot, che lavora in un negozio che si occupa di manutenzione di pneumatici vicino Gotera, è stato arrestato dalla polizia insieme a un suo parente, Haile Girmay, il 3 luglio. Una familiare ha detto ad Amnesty International di essere andata a trovare Tsehaye Gebre Hiwot nella vicina stazione di polizia.

Ha dichiarato: “Quando sono andata a trovarlo, nello stesso posto ho visto che erano stati arrestati molti altri venditori di manici di scopa e stracci per i pavimenti [attività storicamente associata alle persone di origine tigrina]. Parlavano tutti in tigrino. Non so se sono stati rilasciati o portati via con lui”.

Altri nove testimoni hanno riferito ad Amnesty International di aver visto in occasione delle visite ad amici e parenti detenuti decine di tigrini detenuti a Tekle Haimanot, nella 5a stazione di polizia, a Gerji, nel penitenziario federale, e nelle stazioni di polizia di Merkato. Un uomo che ha raccontato che cinque dei suoi amici erano stati arrestati durante un’incursione in un dormitorio il 2 luglio a Tekle Haimanot, ha detto di aver visto circa 50 tigrini nella 5a stazione di polizia quando vi si è recato il 3 luglio.

Inoltre, Amnesty International ha sentito di simili arresti arbitrari che hanno visto coinvolti i tigrini residenti ad Awash Sebat, una città nella regione di Afar, 200 chilometri a est di Addis Abeba. Una testimone ha detto ad Amnesty International che cinque imprenditori tigrini in città tra cui suo marito, erano stati arrestati il 3 luglio. Ha detto:

“Quel giorno, sono stati arrestati lui e molti altri tigrini in città. Sono rimasti alla stazione della polizia federale fino al 7 luglio prima di essere trasferiti nella prigione di Awash Arba in un luogo chiamato Berta. Sono stati condotti in tribunale ad Awash Arba il 7 luglio e il tribunale li ha rinviati in custodia fino al 19 luglio. Poi, la polizia li ha portati in prigione. La prigione è a circa 35 chilometri da Awash Sebat. Andiamo a trovarli e gli portiamo cibo e abiti in prigione”.

Attivisti e giornalisti presi di mira 

Tsegaze’ab Kidanu è un tigrino che vive ad Addis Abeba e coordina l’assistenza umanitaria per le persone che sono state coinvolte nel conflitto del Tigrè. Inoltre, si occupa come volontario della gestione dei rapporti con la stampa per l’associazione Mahbere Kidus Yared Zeorthodox Tewahido Tigray. Il 1° luglio, un giorno prima che l’associazione diffondesse una dichiarazione sulla situazione dei diritti umani nel Tigrè, è stato arrestato nella sua abitazione.

La famiglia e l’avvocato di Tsegaze’ab sono andati a trovarlo nel penitenziario federale il 2 e il 3 luglio, ma quando sono tornati il 4 luglio, non c’era. Secondo quanto riferito dall’avvocato di Tsegaze’ab, hanno poi saputo da un altro detenuto che era stato portato ad Awash Arba. Inoltre, il suo avvocato non è mai stato messo al corrente delle accuse a carico di Tsegaze’ab.

L’avvocato ha poi condiviso con Amnesty International i nomi di 24 tigrini arrestati nelle varie zone di Addis Abeba, anche a Mazoria 22 e Tekle Haimanot, nel periodo compreso tra il 30 giugno e l’8 luglio. L’avvocato ha detto ad Amnesty International che un detenuto, rilasciato su cauzione il 5 luglio, è stato accusato di avere “collegamenti con il Tplf (il Fronte di liberazione popolare del Tigrè)” che è stato indicato come gruppo terroristico dal governo etiope.

Anche giornalisti e operatori stampa che si sono occupati della situazione del Tigrè sono stati detenuti senza un giusto processo. Il 30 giugno, la polizia ha arrestato 11 tra giornalisti e operatori stampa di Awlo Media ed Ethio Forum, che hanno seguito su YouTube il conflitto e la situazione dei diritti umani nel Tigrè, insieme al loro avvocato. Un avvocato e alcuni familiari ascoltati da Amnesty International hanno detto di essere riusciti a fare visita ai detenuti il 1° luglio, ma dal 2 luglio non sanno dove si trovino e neanche se i detenuti siano stati accusati di qualche reato o meno. Un familiare di un detenuto ha detto:

“Venerdì [2 luglio], la polizia ci ha riferito che erano stati rilasciati di mattina presto, alle 6 circa. Ma nessuno di loro ha fatto ritorno a casa o ci ha chiamato. Quando abbiamo chiesto più volte, la polizia ci ha detto, ‘noi [la polizia] non sappiamo dove si trovano, non tornate mai più’. Li cerchiamo da allora”.

“Le autorità etiopi devono informare familiari e avvocati del luogo in cui si trovano i detenuti. Non rivelare le sorti o il luogo in cui si trovano i detenuti significa commettere il crimine di sparizione forzata. Le autorità devono anche garantire che tutti i detenuti siano protetti contro torture e altri maltrattamenti”, ha concluso Deprose Muchena.