Europa orientale e Asia centrale: proteggere i diritti umani durante la pandemia

29 Aprile 2020

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In un nuovo rapporto diffuso oggi, Amnesty International ha denunciato che i governi dell’Europa orientale e dell’Asia centrale stanno reagendo alla pandemia da Covid-19 con misure repressive che paiono destinate più a stroncare il dissenso che a proteggere la salute pubblica.

Il 6 aprile nella città di Karakol, in Kirghizistan, le forze di sicurezza hanno sigillato un intero palazzo intrappolando decine di famiglie dopo che un residente era risultato positivo al Covid-19. Lo stesso è accaduto in Kazakhistan.

Il 18 aprile l’esercito dell’Ucraina ha chiuso l’unica via d’accesso al villaggio di Staromaryivka, nella parte dell’est del paese controllata dal governo. I 150 abitanti sono rimasti isolati, senza modo di rifornirsi di prodotti alimentari o di accedere a cure mediche.

Alla fine di marzo in Cecenia sono stati diffusi video in cui si vedono agenti di polizia aggirarsi con tubi di plastica per aggredire coloro che non indossavano le mascherine protettive. Sempre in Cecenia la giornalista Elena Milashina è stata minacciata di morte dal presidente Ramzan Kadyrov per aver criticato sul quotidiano “Novaya Gazeta” le politiche di lockdown.

In vari stati della regione il diritto alla salute è stato messo seriamente a rischio.

I leader politici di Bielorussia, Tagikistan e Turkmenistan hanno minimizzato la portata della pandemia e suggerito cure di mai provata efficacia.

Alla fine di marzo il presidente bielorusso Aliaksandr Lukashenka ha dichiarato che qualche bicchierino al giorno di vodka, insieme alla sauna e alle attività sportive, avrebbe ucciso il virus. Il governo non ha ancora adottato alcun provvedimento sul distanziamento sociale.

Il presidente del Turkmenistan Gurbanguly Berdymukhamedov, quasi mai menzionando direttamente il Covid-19, ha suggerito di bruciare le foglie delle piante di ruta siriana per allontanare la malattia.

In tutta la regione sistemi sanitari con poche risorse a disposizione sono allo stremo. La riforma della sanità pubblica portata avanti in Russia nell’ultimo decennio in nome della “ottimizzazione”, ha causato una profonda riduzione del personale medico e delle strutture sanitarie. La mancanza di dispositivi di protezione ha esposto i medici al contagio.

Proprio in Russia la presidente del sindacato indipendente “Alleanza dei medici”, Anastasiya Vasilieva, è stata interrogata in merito a “notizie false” che avrebbe diffuso invitando i medici a denunciare l’incompetenza delle autorità. Molti iscritti all’Alleanza hanno ricevuto minacce e la stessa Vasilieva è stata trattenuta dalla polizia per violazione della quarantena dopo che aveva portato dispositivi di protezione a un ospedale.

Ancora in Russia, così come in Azerbaigian, medici, utenti dei social media e giornalisti sono stati incriminati per aver denunciato l’inadeguatezza delle risposte alla pandemia da Covid-19.

Sempre in Azerbaigian, il 19 marzo il presidente Ilham Aliyev ha annunciato “nuove leggi” per tutta la durata della pandemia, anche per “isolare” e “spazzare via” l’opposizione interna. L’attivista dell’opposizione Tofig Yagublu e il difensore dei diritti umani Elchin Mammad sono stati arrestati, il primo accusato di vandalismo e il secondo di furto.

Infine, in Uzbekistan sono state introdotte multe esorbitanti per chi diffonde “notizie false”.