CC BY-SA 4.0 - Frank Schwichtenberg
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Questo articolo, scritto da Marco Perolini – ricercatore sull’Europa di Amnesty International – è stato pubblicato originariamente dal quotidiano “Neus Deutschland”
Da luglio la vita di Jamila, una donna italiana di 50 anni, è stravolta. Da Feltre, un piccolo centro del Nordest italiano, si è trasferita ad Amburgo, dove sta cercando in tutti i modi di mantenere il suo lavoro come consulente nel settore delle certificazioni di qualità, in una città in cui non aveva precedenti contatti. Ma vuole stare vicina a suo figlio, Fabio, di 18 anni.
Le autorità inquirenti tedesche se la stanno prendendo con Fabio per la sua partecipazione alle proteste contro il Summit del G20 ma non hanno alcuna prova del suo coinvolgimento in atti di violenza. Si sono opposte diverse volte alle decisioni del tribunale circa il rilascio su cauzione fino a quando finalmente il 24 novembre, dopo aver trascorso quattro mesi in carcere, Fabio è tornato in libertà.
A luglio Fabio, un giovane operaio, ha deciso di andare ad Amburgo per protestare contro il Summit in programma il 7 e l’8 luglio. Voleva manifestare la sua opposizione, ha raccontato, a un sistema in cui 20 leader decidono sul futuro di tutti, un sistema che è dominato da evidenti diseguaglianze.
Ad Amburgo, Fabio voleva unirsi alle migliaia di partecipanti alle varie proteste, molte delle quali del tutto pacifiche: come quella chiamata “Solidarietà senza frontiere invece del G20”, cui hanno preso parte oltre 75.000 persone.
In altre proteste, nonostante il dispiegamento di oltre 30.000 agenti per mantenere l’ordine pubblico, vi sono stati atti di violenza e scontri, con feriti da entrambe le parti. Secondo i dati forniti dalla polizia, gli agenti feriti sono stati 476. Al momento risultano aperti più di 100 procedimenti per uso eccessivo della forza da parte della polizia.
Fabio è una delle 186 persone arrestate durante le manifestazioni. È stato fermato alle 6.30 del 7 luglio mentre, insieme ad altre 200 persone, si stava dirigendo dal campeggio autorizzato di Volkspark verso il centro di Amburgo. Fabio è stato incriminato per vari reati, tra cui disturbo alla quiete pubblica, adesione a un gruppo che possedeva armi e aggressione a pubblico ufficiale.
Un principio fondamentale del diritto penale è che la responsabilità penale è sempre individuale. Una persona non può essere sottoposta a procedimento giudiziario per il mero fatto di essersi trovata nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Ma questo principio pare non valere nel caso di Fabio. Secondo le informazioni a disposizione di Amnesty International, non c’è alcuna indicazione che Fabio abbia preso parte ad azioni violente.
Le autorità inquirenti sostengono che Fabio faceva parte di un gruppo che aveva lasciato il campeggio di Volkspark con l’intenzione di compiere atti di violenza. Arrivati di fronte a un cordone di polizia, alcuni del gruppo iniziarono a lanciare oggetti tra cui pietre, bottiglie e fuochi d’artificio. Di lì a poco, la polizia eseguì gli arresti.
La pubblica accusa non ha fornito alcuna prova sulla partecipazione di Fabio a queste azioni violente. Lo hanno riconosciuto anche i tribunali: il 21 luglio, ad esempio, la Corte d’appello di Amburgo ha dichiarato che “allo stato attuale delle indagini nessun’azione violenta potrebbe essere ascritta personalmente all’imputato”.
Sebbene alcuni manifestanti avessero delle armi, la polizia non ha trovato addosso a Fabio alcun’arma al momento dell’arresto. Una delle prove definite “chiave” a suo carico, secondo la polizia, è che indossava “vestiti che sono tipici della scena antagonista”. Inoltre, nessuno degli agenti che hanno testimoniato alle udienze del 7, 14 e 15 novembre hanno potuto fornire alcuna prova riguardo al coinvolgimento di Fabio in atti di violenza.
Il diritto alla libertà di manifestazione pacifica riguarda solo la partecipazione a proteste pacifiche. I manifestanti che compiono atti di violenza possono essere legittimamente processati. Tuttavia, la responsabilità per azioni del genere è sempre individuale e non può essere attribuita a chi prende parte a una manifestazione pubblica in cui avvengono atti di violenza.
In altre parole, Fabio potrebbe essere legittimamente processato se vi fosse il ragionevole sospetto, basato su prove solide, del suo coinvolgimento in atti di violenza. Ma non può esserlo solo perché altri manifestanti hanno fatto ricorso alla violenza o perché indossava abiti che indicano una tendenza ideologica favorevole verso un gruppo che la polizia ritiene pratichi la violenza.
Per Jamila, quei quattro lunghi mesi di carcere sono stati frutto della decisione più assurda in questa vicenda paradossale. Il 16 novembre il tribunale distrettuale di Amburgo-Altona aveva disposto il rilascio su Fabio su cauzione. La procura ha fatto ricorso contro questa decisione così come contro quella del tribunale regionale. Alla fine la Corte d’appello di Amburgo ha disposto il rilascio su cauzione con l’obbligo per Fabio di risiedere ad Amburgo e di firmare tre volte alla settimana in una stazione di polizia.
Il suo rilascio su cauzione è uno sviluppo positivo. Ma non è abbastanza. Nel corso del processo, il tribunale dovrà esaminare rigorosamente se Fabio sia stato personalmente coinvolto in qualsivoglia atto di violenza commesso durante le manifestazioni di luglio. Se ciò non sarà provato oltre ogni ragionevole dubbio, Fabio dovrà essere assolto.
Le autorità possono processare coloro che hanno commesso atti di violenza nelle proteste contro il Summit del G20. Ma nessuna persona dovrebbe essere chiamata a rispondere collettivamente per quegli atti di violenza, in mancanza di prove concrete a suo carico.