Fermare le espulsioni e gli arresti dei rifugiati afgani in Pakistan

10 Novembre 2023

Photo by -/AFP via Getty Images

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Amnesty International ha sollecitato nuovamente il governo del Pakistan a interrompere immediatamente gli arresti e le espulsioni su scala massiccia dei rifugiati afgani.

“Migliaia di rifugiati afgani sono usati come pedine politiche e rimandati nell’Afghanistan dei talebani, dove la loro vita e la loro incolumità fisica potrebbero essere in pericolo per via della crescente repressione dei diritti umani e della catastrofe umanitaria in corso. Nessuna persona dovrebbe essere sottoposta a espulsioni di massa e il Pakistan farebbe bene a tener presenti i suoi obblighi di diritto internazionale, compreso il principio di non-respingimento”, ha dichiarato Livia Saccardi, vicedirettrice delle campagne di Amnesty International sull’Asia meridionale.

“Se il Pakistan non fermerà immediatamente queste espulsioni, negherà a migliaia di afgane e afgani a rischio, soprattutto alle donne e alle bambine, l’accesso alla salvezza, all’istruzione e ai mezzi di sopravvivenza”, ha aggiunto Saccardi. Secondo il governo pachistano, oltre 170.000 afgani, molti dei quali vivevano in Pakistan da decenni, sono stati costretti ad andar via a partire dal 17 settembre, quando il governo ha annunciato la data del 1° novembre come ultimatum a “tutti gli stranieri non registrati” di lasciare il paese.

A partire da quella data, la polizia ha iniziato a raccogliere i dati delle persone irregolari secondo la Legge sugli stranieri del 1946, che tra le altre cose criminalizza l’ingresso irregolare in Pakistan, procedendo all’arresto dei rifugiati “illegali” e alla loro consegna ai “centri per l’espulsione”. In Pakistan sono stati allestiti almeno 49 centri del genere e altri sono in via di costruzione, sebbene non siano previsti da una legge specifica. Amnesty International ha verificato che in almeno sette di questi centri, preclusi ai giornalisti e privi di interpreti, i detenuti non hanno diritto di comunicare con avvocati o familiari.

Maryam*, un’attivista afgana residente a Islamabad, ha raccontato ad Amnesty International che il 2 novembre molti rifugiati afgani sono stati portati in una stazione di polizia in attesa dell’espulsione, senza che le loro famiglie ricevessero informazioni sul loro destino.

Il 3 novembre un diciassettenne di origine afgana, nato in Pakistan e residente a Karachi, è stato arrestato e poi espulso pur essendo in possesso della Prova di registrazione, un documento rilasciato dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.

La comunità afgana in Pakistan vive in uno stato di costante agitazione e si barrica in casa non appena sente in lontananza le sirene della polizia. Sono stati trasmessi avvisi, mediante volantini, annunci da altoparlanti e comunicazioni nelle moschee, secondo i quali chiunque dia alloggio a rifugiati afgani verrà multato o arrestato. Dalla metà di ottobre diversi insediamenti informali di rifugiati afgani sono stati demoliti senza preavviso e i pochi effetti personali che erano dentro le abitazioni sono stati distrutti. Secondo il Forum internazionale dei giornalisti pachistani e afgani, anche circa 200 giornalisti sono a rischio di espulsione.

Tra loro c’è Asad*, fuggito dall’Afghanistan con la sua famiglia nel 2021 dopo che amici e colleghi erano stati assassinati dai talebani:

“Sono entrato in Pakistan con un regolare visto e ne ho chiesto il rinnovo. Al momento non ho alcun documento valido da mostrare alle autorità. Il mio nome è in varie liste compilate dai talebani. Se torno, è sicuro che mi uccideranno”.

L’ansia e la paura maggiori le provano le rifugiate afgane, così come le donne pachistane che hanno sposato rifugiati afgani.

“Il Pakistan deve rispettare i suoi obblighi di diritto internazionale e garantire la sicurezza dei rifugiati afgani che si trovano nel suo territorio, sospendendo immediatamente le espulsioni. Le autorità, insieme all’Alto commissariato Onu per i rifugiati, devono velocizzare le procedure di registrazione delle richieste d’asilo, soprattutto di quelle delle donne e delle ragazze, dei giornalisti e degli appartenenti alle minoranze religiose ed etniche, che correrebbero i pericoli più grandi in caso di espulsione”.

 

*Nomi di fantasia per proteggere la reale identità