Gaza: la risposta umanitaria sull’orlo del collasso

29 Maggio 2024

AFP via Getty Images

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Con l’intensificarsi degli attacchi israeliani a Rafah, l’imprevedibilità dell’ingresso degli aiuti a Gaza ha creato l’illusione di un miglioramento dell’accesso, mentre la risposta umanitaria è in realtà sull’orlo del collasso.

È quanto hanno denunciato 20 agenzie umanitarie, sottolineando che la capacità di risposta dei gruppi di soccorso e delle équipe mediche si è ormai sgretolata, e le soluzioni temporanee come il “molo galleggiante” e i nuovi punti d’ingresso hanno avuto un impatto scarso.

Le agenzie umanitarie temono ora un’accelerazione delle morti per fame, malattie e assistenza medica negata, mentre i punti di ingresso terrestri e marittimi rimangono di fatto chiusi all’assistenza umanitaria, soprattutto al carburante, e gli attacchi nelle aree che ospitano i civili si intensificano.

L’ostruzione sistematica dei valichi controllati da Israele, l’intensificarsi delle ostilità e il prolungato blackout delle telecomunicazioni hanno ridotto il volume degli aiuti che entrano a Gaza, compresi cibo, carburante e forniture mediche, a livelli tra i più bassi degli ultimi sette mesi.

Medici Senza Frontiere, uno dei maggiori fornitori di aiuti umanitari e medici a Gaza, non è riuscita a far arrivare alcun rifornimento dal 6 maggio. La mancanza di acqua pulita espone i pazienti a un elevato rischio di malattie. Tuttavia, i kit di desalinizzazione e le pompe sommergibili per creare sistemi idrici sostenibili per fornire acqua, sono quasi sempre negati dalle autorità israeliane.

Anche le sfide per distribuire gli aiuti in modo sicuro hanno raggiunto nuovi livelli di difficoltà. In meno di tre settimane, quasi un milione di palestinesi è stato sfollato in aree sovraffollate e prive di mezzi adatti a sostenere la vita umana. Le continue preoccupazioni per la protezione delle operazioni di soccorso, compresa la sicurezza degli operatori umanitari, e la proliferazione dei posti di blocco israeliani all’interno di Gaza continuano a ostacolare la risposta umanitaria.

Zenab, una donna incinta il cui marito è stato ucciso in un attacco aereo israeliano, ha raccontato a CARE International di essere riuscita a fuggire a marzo da Gaza City a Rafah e poi a Khan Younis. Ha dovuto camminare per ore e ore per raggiungere diverse farmacie, ospedali e centri sanitari dove reperire le medicine necessarie per gestire le complicazioni della gravidanza e non ha trovato abbastanza acqua potabile o cibo. Il suo medico ha detto che ha bisogno di un parto cesareo e che dovrebbe partorire la prossima settimana, ma teme che non ci sia spazio in alcsuno degli ospedali ancora parzialmente funzionanti.

Il sistema sanitario di Gaza è stato di fatto smantellato. Praticamente tutti gli ospedali di Gaza hanno ricevuto “ordini di evacuazione”, sono sotto assedio israeliano o saranno presto a corto di carburante e di rifornimenti. Il più grande ospedale di Rafah, Abu Yousef al-Najjar, è stato costretto a chiudere a seguito di un “ordine di evacuazione” emesso da Israele e nessun ospedale nel nord di Gaza è attualmente accessibile. Gli operatori sanitari di Gaza affermano che i pazienti muoiono ogni giorno a causa della carenza di forniture mediche, mentre medici, infermieri e altri operatori sanitari continuano a essere uccisi o sfollati con la forza.

Save the Children ha dichiarato che i bambini non sono più in grado di essere evacuati da Gaza dal punto di vista medico e stanno lottando per far fronte agli orrori che affrontano quotidianamente e alla perdita di familiari e persone care e hanno un disperato bisogno di supporto psicosociale.

L’organizzazione Juzoor, partner di Oxfam, ha dichiarato il 19 maggio che sei dei rifugi già sovraffollati da loro sostenuti a Jabaliya, nel nord di Gaza, sono stati completamente distrutti dai bombardamenti israeliani. I rifugi disponevano di servizi medici e ospitavano sfollati provenienti dalle aree circostanti del nord. Il personale che era fuggito dall’area, quando è tornato, ha trovato i letti dei pazienti bruciati e le attrezzature e forniture mediche distrutte.

Nel sud di Gaza, il flusso di aiuti è stato completamente interrotto. Tutte le panetterie di Rafah sono state costrette a chiudere. La diminuzione delle scorte, l’impossibilità di accedere ai magazzini che conservano gli aiuti e l’insicurezza hanno costretto le agenzie umanitarie a sospendere le distribuzioni nel sud e presto potrebbero essere costrette a sospenderle anche a Khan Younis, Deir al-Balah e Gaza City, poiché le scorte si stanno rapidamente esaurendo. Molti palestinesi sopravvivono con meno del 3 per cento del loro fabbisogno giornaliero di acqua, mentre le temperature salgono pericolosamente e malattie come la diarrea e l’epatite si diffondono rapidamente.

Gli annunci di ulteriori punti d’ingresso e di iniziative, tra cui il nuovo “molo galleggiante”, hanno dato un’illusione di miglioramento, ma sono stati in gran parte cambiamenti di facciata. Tra il 7 e il 27 maggio, secondo i conteggi delle Nazioni Unite, poco più di 1000 camion carichi di aiuti sono entrati a Gaza attraverso tutti i punti d’ingresso messi insieme, compreso il nuovo “molo galleggiante”. Si tratta di una cifra allarmante se si considerano i bisogni umanitari vertiginosi dei 2,2 milioni di abitanti di Gaza, e molto più bassa se confrontata con la maggior parte degli altri periodi degli ultimi sette mesi.

Il valico di Rafah, uno dei principali punti di ingresso per gli operatori umanitari e gli aiuti a Gaza, è chiuso dal 7 maggio, quando le forze israeliane lo hanno posto sotto sequestro. Nel frattempo, più di 2000 camion di aiuti attendono ad Arish, in Egitto, che Israele permetta loro di entrare, con il cibo che marcisce e le medicine che scadono mentre le famiglie affrontano la carestia a pochi chilometri di distanza. Mentre Kerem Shalom rimane ufficialmente aperto, sono stati privilegiati i camion commerciali e il movimento degli aiuti rimane imprevedibile, incoerente e criticamente basso.

Le agenzie umanitarie e le organizzazioni per i diritti umani continuano a chiedere un cessate il fuoco immediato e duraturo per salvare e proteggere, nonché percorsi affidabili e stabiliti per portare gli aiuti dentro e attraverso Gaza. Tutte le parti devono proteggere l’accesso umanitario e la consegna degli aiuti. Le organizzazioni chiedono alle parti in conflitto di aderire al diritto umanitario internazionale e a Israele di rispettare le sentenze della Corte internazionale di giustizia, compreso l’ordine più recente a Israele di fermare l’offensiva militare su Rafah. La comunità internazionale, compresi i governi terzi e i membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, restano vincolati dagli obblighi derivanti dal diritto internazionale umanitario e dalle sentenze della Corte internazionale di giustizia, per garantire la protezione dei palestinesi.

Le agenzie umanitarie lavorano 24 ore su 24, cercando di fornire aiuti salvavita nelle circostanze più impossibili, ma non si può fare di più se gli Stati continuano a sottrarsi ai loro obblighi legali e alla loro responsabilità morale di garantire il cessate il fuoco.

Ulteriori informazioni

  • Le agenzie umanitarie hanno ripetutamente avvertito che qualsiasi tentativo di far arrivare gli aiuti a Gaza per via aerea e marittima – che rimangono inefficienti, costosi e persino pericolosi – non può sostituire i valichi terrestri e rischia di diventare una distrazione per non affrontare gli ostacoli che le agenzie umanitarie incontrano sul terreno. La media pre-crisi di camion che entravano a Gaza per giorno lavorativo era di 500, compreso il carburante.
  • Tra il 7 e il 23 maggio, 906 camion carichi di aiuti sono entrati nella Striscia di Gaza attraverso tutti i punti d’ingresso terrestri e marittimi messi insieme, e altri 160 camion carichi di aiuti sono entrati tra il 24 e il 26 maggio, per un totale di 1066.
  • Più di 81.026 palestinesi a Gaza rimangono gravemente feriti e tutte le evacuazioni mediche da Gaza si sono fermate da quando Israele ha posto sotto sequestro il valico di Rafah il 7 maggio. Si stima che 14.000 pazienti gravemente malati e feriti necessitino di cure salvavita all’estero.
  • In totale 4500 camion, compresi quelli commerciali e quelli per gli aiuti, rimangono in attesa sul lato egiziano del valico di Rafah.
  • Al valico di Kerem Shalom, le autorità israeliane stanno dando la priorità ai camion commerciali rispetto a quelli che trasportano gli aiuti, il che significa che il cibo e le altre forniture che entrano non raggiungeranno chi ne ha più disperatamente bisogno.
  • L’accesso attraverso Erez West (Zikim) rimane fortemente limitato.
  • Più di 266 operatori umanitari, in maggioranza palestinesi, sono stati uccisi.
  • Dal 7 maggio, le organizzazioni umanitarie del Cluster Logistico non sono state in grado di accedere alle strutture di stoccaggio, di facilitare i servizi di stoccaggio o di far funzionare il sistema di notifica dei carichi per supportare gli attori umanitari.
  • Secondo l’Unrwa, il 7 maggio più di 450.000 persone si trovavano nell’area di Al-Mawasi e questo numero è aumentato dopo l’intensificarsi degli attacchi a Rafah.

Agenzie firmatarie:

  1. Premiere Urgence Internationale
  2. Médecins du Monde France
  3. Médecins du Monde Switzerland
  4. Médecins du Monde Spain
  5. Danish Refugee Council
  6. Norwegian Refugee Council
  7. CARE International
  8. Médecins Sans Frontières/Doctors Without Borders (MSF)
  9. Oxfam
  10. Save the Children International
  11. Plan International
  12. Amnesty International
  13. ActionAid International
  14. Humanity & Inclusion/ Handicap International (HI)
  15. Norwegian People’s Aid
  16. War Child Alliance
  17. Secours Islamique France
  18. Action For Humanity
  19. Islamic Relief
  20. Mercy Corps