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Prigionieri anziani e con disturbi mentali sono tra coloro che attendono decenni nei bracci della morte del Giappone, per essere poi messi a morte in segreto e senza preavviso. Le loro condanne sono state spesso emesse al termine di processi iniqui, basati su ‘confessioni’ di crimini mai commessi, rese dopo interrogatori estenuanti, minacce e violenze.
Questa è la realtà della pena di morte in Giappone, descritta in un rapporto intitolato ‘Sarà il mio ultimo giorno?’, diffuso oggi da Amnesty International in occasione di un incontro tra attivisti ed esperti sulla pena di morte della regione Asia-Pacifico, riuniti in questi giorni a Hong Kong.
‘Il Giappone è uno dei pochi paesi industrializzati che ancora compie omicidi di Stato’ – ricorda Amnesty International. ‘Abolendo la pena capitale, il Giappone darebbe un segnale di leadership nella regione Asia-Pacifico, che non sta procedendo al passo con la tendenza globale verso l’abolizione‘.
Centoventicinque paesi hanno cancellato la pena di morte per legge o nella pratica. L’ultimo di essi, le Filippine, l’hanno abolita a giugno. Vi sono segnali positivi anche in Corea del Sud, dove il parlamento sta esaminando una proposta di legge abolizionista.
‘Come primo passo, chiediamo al governo giapponese di porre fine al segreto che attualmente avvolge l’applicazione della pena di morte. Le autorità di Tokio non possono giustificare questa pena inumana trincerandosi dietro l’opinione pubblica, quando di fatto nascondono la realtà della pena di morte, ostacolando in questo modo il dibattito nella società civile‘ – afferma Amnesty International.
In Giappone non vi sono mai proteste di fronte alle prigioni il giorno di un’esecuzione, poiché questo è noto solo alle autorità. Il prigioniero viene informato solo la mattina del giorno in cui verrà ucciso. In alcuni casi, non c’è neanche questo preavviso.
Questa segretezza significa che i prigionieri vivono, in isolamento e sotto un regime carcerario durissimo, nella costante paura di essere messi a morte, senza mai sapere se ogni giorno che arriva sarà il loro ultimo giorno.
Le procedure legali sono talmente lente che gli appelli durano decenni e i prigionieri trascorrono anni in attesa di essere messi a morte. Okunishi Masaru è uno dei condannati che hanno un’età estremamente avanzata. Ha 80 anni ed è stato condannato alla pena capitale nel 1961 per aver avvelenato cinque donne. Nell’aprile 2005, l’Alta corte di Nagoya gli ha concesso un altro processo sulla base di nuove prove che potrebbero dimostrare la sua innocenza. I suoi amici chiedono che il processo inizi presto. Nel marzo 2006, Okunishi Masaru ha lanciato un appello: ‘Per favore, scagionatemi da queste false accuse quando sono ancora vivo’.
Il rischio di mettere a morte innocenti è particolarmente alto a causa del sistema di detenzione preventiva basato sulla custodia di polizia. Le persone sospettate di aver commesso un reato possono rimanere nelle mani della polizia anche per 23 giorni ed essere sottoposte a lunghi interrogatori. Akahori Masao è stato condannato a morte nel 1958, quando aveva 25 anni, per stupro e omicidio. Ha sempre sostenuto di essere innocente e di aver confessato sotto pressione: ‘Le persone che mi interrogavano mi picchiavano sulla testa, mi prendevano a calci e mi stringevano il collo fino quasi a strangolarmi. Decisi di rispondere sì a tutte le loro domande perché non riuscivo a sopportare quella tortura’. Solo nel 1987, dopo quattro appelli, Akahori Masao ha ottenuto un nuovo processo, nel quale è stato assolto, a 59 anni, dopo aver trascorso 34 anni in carcere.
Ulteriori informazioni
Nei bracci della morte del Giappone si troverebbero attualmente 87 prigionieri. L’ultima esecuzione ha avuto luogo il 16 settembre 2005, quando Kitagawa Susumu è stato impiccato per aver commesso due omicidi. Le esecuzioni dal 2000 sono state 11, tutte tramite impiccagione.
Le condizioni di prigionia nei bracci della morte sono estremamente dure, non consentono alcuna forma di comunicazione tra i condannati a morte e provocano danni alla loro salute mentale.
Il più anziano prigioniero nel braccio della morte è Tomizo Ishida, che compirà 85 anni a dicembre, il cui caso è seguito dal Gruppo di Amnesty International di Napoli. Tomizo Ishida è stato accusato degli omicidi di due donne, una delle quali era la sua compagna, commessi nel 1973. La confessione è giunta dopo 148 giorni di interrogatorio in una stazione di polizia, durante i quali l’imputato non è stato informato del diritto di poter essere assistito da un avvocato. Tomizo Ishida si è dichiarato colpevole solo dell’omicidio non premeditato della sua compagna, ma del secondo continua a proclamarsi innocente. In carcere da più di 30 anni, il suo stato di salute continua a peggiorare e la mancanza di cure adeguate per una banale cataratta lo ha reso ormai quasi cieco. L’ultima notizia ricevuta da Amnesty International sul suo caso riguarda la richiesta di un nuovo processo, presentata nel 1991 e respinta il 30 marzo 2004, dopo ben 13 anni.
FINE DEL COMUNICATO Roma, 7 luglio 2006
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