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In occasione della Giornata internazionale per le vittime di sparizione forzata, che si celebra ogni anno il 30 agosto, Amnesty International ha sollecitato le autorità del Pakistan a portare a termine gli impegni proclamati da tempo e a porre fine a questa crudele prassi.
Utilizzate costantemente dai servizi di sicurezza del paese a partire dalla cosiddetta “guerra al terrore” del 2001 contro difensori dei diritti umani, attivisti politici, studenti e giornalisti, le sparizioni forzate rendono tuttora irrintracciabili centinaia di persone, che le autorità negano di aver arrestato e delle quali non forniscono alcuna informazione.
Da due anni e mezzo giace in parlamento una proposta di emendamento al codice penale, che metterebbe fuorilegge le sparizioni forzate.
Ne è in discussione un’altra, presentata il 7 giugno dal ministero dei Diritti umani e ritenuta insufficiente dai gruppi locali per i diritti umani: il testo vieta le sparizioni forzate solo di cittadini pachistani o comunque avvenute in Pakistan, escludendo quelle di cui i servizi di sicurezza pachistani si siano resi responsabili all’estero; riguarda solo casi in cui vi sia stata “una illegittima o illegale privazione della libertà”, escludendo dunque che una sparizione forzata possa avvenire – come di fatto avviene – a seguito di un arresto legale; non descrive i meccanismi attraverso i quali i familiari delle vittime possano presentare una denuncia di sparizione forzata e ottenere giustizia; non precisa se avrà effetti retroattivi o meno.
Neanche tre settimane dopo la presentazione della proposta, il 26 giugno è scomparso l’attivista politico Seengar Noonari. Ha trascorso cinque settimane in sparizione forzata prima di essere restituito alla sua famiglia.
Recentemente l’Alta corte di Islamabad ha disposto risarcimenti per le famiglie delle vittime di sparizione forzata e sanzioni nei confronti dei responsabili ma non è chiaro se e come queste sentenze siano state applicate.
