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L’11 settembre 2001 ha dato vita a una nuova epoca: fin da subito, il presidente statunitense George W. Bush ha promesso giustizia per le vittime degli attentati terroristici che hanno sconvolto il mondo. Quella ricerca di giustizia, però, si è presto trasformata in qualcos’altro.
Iniziò così “la guerra globale al terrore”, una strategia che ha portato a massicce e gravissime violazioni dei diritti umani da parte delle autorità statunitensi. I principi di giustizia come il diritto a non essere sottoposti a tortura o il diritto a un processo equo sono stati sospesi, caduti nel dimenticatoio, in nome di una guerra usata come giustificazione per interrogatori illegali e detenzioni senza fine.
Solo dopo pochi mesi dagli attentati, a gennaio 2002, emersero alcune fotografie che testimoniavano queste enormi violazioni: nelle foto rilasciate dalle stesse autorità, si vedevano detenuti, appena arrivati nella base navale degli Stati Uniti a Guantánamo Bay, Cuba, inginocchiati, incatenati, ammanettati e bendati. Erano lì perché sospettati di avere contatti con Al-Qaida.
Nasce con questo scopo, nel 2002, il centro di detenzione di Guantánamo Bay: ottenere informazioni d’intelligence a spese dei diritti umani.
Guantánamo Bay diventò presto un luogo di torture e maltrattamenti, un buco nero dei diritti umani.
Trasferimenti segreti, interrogatori in regime di isolamento, alimentazione forzata durante gli scioperi della fame, torture, sparizioni forzate, totale diniego del diritto a un giusto processo. Questo è quello che perpetuano da 20 anni le autorità degli Stati Uniti.
Alcuni dei prigionieri, soprattutto all’inizio del periodo di detenzione, sono stati sottoposti a feroci torture, molti altri hanno sviluppato gravi problemi di salute mentale.
Più volte le organizzazioni internazionali e non governative hanno denunciato la situazione, accusando gli Stati Uniti di tortura e di altri trattamenti inumani e degradanti in violazione del diritto internazionale. La risposta è sempre stata il silenzio.
Sono passati 20 anni dall’apertura del centro di detenzione ma molte cose restano le stesse.
Dal 2002 sono state 780 le persone imprigionate a Guantánamo Bay. Ora ne restano 39. L’ultimo rimpatrio è avvenuto a luglio 2021, sotto l’amministrazione Biden che ha trasferito un detenuto marocchino il quale doveva lasciare la prigione militare nel 2016, ma vi era comunque rimasto durante la presidenza Trump.
Le commissioni militari incaricate di processare i sospetti terroristi detenuti a Guantánamo hanno prodotto la miseria di otto condanne, due delle quali vengono attualmente scontate all’interno del centro di detenzione. Su 780 prigionieri entrati a Guantánamo ne sono stati rilasciati più di 700, sparpagliati in 59 paesi.
Dei 39 detenuti rimasti attualmente, 12 sono sotto la giurisdizione del tribunale di guerra delle commissioni militari: tre sono sotto processo in attesa di verdetto, sette sono in fase processuale e due sono stati condannati. Tra settembre 2021 e gennaio 2022 i processi sono stati sospesi più volte a causa del Covid-19.
Inoltre, 14 detenuti sono trattenuti in detenzione indefinita per legge di guerra e non devono affrontare altri processi né essere destinati al rilascio.
Tredici sono detenuti per motivi di guerra, ma sono stati segnalati per il trasferimento con accordi di sicurezza in un altro paese o con un paese terzo.
L’unico epilogo possibile per questo scempio dei diritti umani è quello che chiediamo da sempre: la chiusura di Guantánamo Bay e l’accertamento delle responsabilità di chi ha reso tutto questo possibile per 20 lunghi anni.
Per maggiori informazioni sulle condizioni dei detenuti a Guantánamo Bay e delle relative violazioni dei diritti umani è possibile consultare il rapporto “Right the wrong” di Amnesty International.