Tempo di lettura stimato: 5'
In un nuovo rapporto pubblicato oggi, Amnesty International denuncia che il centro di detenzione Usa di Guantánamo Bay, Cuba, sta condannando migliaia di persone nel mondo a una vita di sofferenza, tormento e disprezzo.
Il rapporto, intitolato ‘Guantánamo: vite fatte a pezzi – l’impatto della detenzione a tempo indeterminato sui prigionieri e sulle loro famiglie‘, contiene le testimonianze di ex detenuti e dei loro familiari e descrive la situazione attuale delle persone ancora a Guantánamo, gli scioperi della fame in corso e i tentativi di suicidio.
Cinquecento uomini di 35 nazionalità sono detenuti a Guantánamo Bay. Decine di loro sono attualmente in sciopero della fame e vi sono stati numerosi tentativi di suicidio. Nessuno ha beneficiato di una revisione giudiziaria della legittimità della propria detenzione. Nove continuano a essere detenuti nonostante non siano più ritenuti dal governo Usa ‘combattenti nemici’.
‘Per i detenuti e per le loro famiglie, Guantánamo rimane una realtà durissima. Nonostante l’ampia condanna internazionale, gli Usa proseguono nel loro intento di privare tutti i prigionieri del diritto di contestare la detenzione in un tribunale statunitense‘ – ha detto Susan Lee, direttrice del Programma Americhe di Amnesty International. ‘Le richieste dei detenuti in sciopero della fame non sono controverse: chiedono che i loro diritti, basati sulle norme internazionali, siano rispettati; che vengano rilasciati se non sono accusati di crimini riconosciuti a livello internazionale; che organizzazioni come Amnesty International possano incontrarli‘.
Secondo le testimonianze raccolte dall’organizzazione per i diritti umani, varie famiglie che sanno che i loro parenti sono o sono stati in custodia statunitense, ricevono comunicazioni scarse o nulle da Guantánamo. Alcune non sanno neanche dove si trovano i loro cari, o se sono ancora vivi.
Il rapporto di Amnesty International illustra inoltre una condizione di tormento e disprezzo che non si ferma a Guantánamo. Per alcuni prigionieri, il trasferimento a Guantánamo non è stato altro che uno spostamento da un luogo all’altro di detenzione illegale e a tempo indeterminato. Per altri, ha significato una detenzione arbitraria, minacce e maltrattamenti. Anche per coloro che sono ritornati nei loro paesi di origine e alle loro famiglie, il ricordo fisico e psicologico del tempo trascorso a Guantánamo continua e il disprezzo, causato dall’essere stati etichettati dal presidente George W. Bush come ‘combattenti nemici’ e ‘il peggio del peggio’, resterà associato a loro per il resto della vita.
Nina Odizheva, madre di Ruzlan Odizhev, detenuto russo a Guantánamo, ha raccontato come il tempo trascorso nel centro di detenzione Usa abbia irrevocabilmente colpito il figlio: ‘E’ cambiato… ora è completamente malato. Deve prendere medicinali per tutti i suoi organi principali. Cerca di non mostrarmi o di non dirmi particolari in modo che io non mi arrabbi… non ha mai appetito… è una persona diversa da prima‘.
‘L’amministrazione Usa non può semplicemente ignorare le conseguenze delle proprie azioni nei confronti dei detenuti rimandati nei loro paesi solo per subire ulteriori abusi, una detenzione illegale e la denigrazione di essere stati etichettati come ‘il peggio del peggio’.’
Amnesty International chiede alle autorità Usa di pubblicare la lista di tutte le persone detenute a Guantánamo e in altri centri di detenzione; processare o rilasciare tutti i detenuti di Guantánamo; chiudere Guantánamo e consentire verifiche indipendenti in tutti i centri di detenzione Usa; indagare su ogni denuncia di maltrattamenti e torture ai danni dei detenuti.
FINE DEL COMUNICATO Roma, 6 febbraio 2006
Per ulteriori informazioni, approfondimenti e interviste:
Amnesty International Italia – Ufficio stampa
Tel. 06 4490224 – cell. 348-6974361, e-mail: press@amnesty.it