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Amnesty International ha chiesto alle forze dell’ordine di Hong Kong un utilizzo estremamente cauto dei cannoni ad acqua, strumenti potenti e pericolosi se utilizzati in strade densamente popolate come quelle della città. Durante le proteste dei giorni scorsi, la polizia di Hong Kong ha diffusamente fatto ricorso a lacrimogeni, proiettili di gomma e granate di spugna in maniera eccessiva e illegittima.
“I cannoni ad acqua non sono giochi che la polizia di Hong Kong può usare come dimostrazione di forza. Sono armi potenti che colpiscono in maniera indiscriminata e possono procurare ferite gravi o anche la morte: possono provocare perdita di conoscenza, causare cecità, spingere una persona in maniera violenta facendola urtare contro altri oggetti o rendere questi ultimi dei veri e propri missili. Nelle nostre strade affollate il loro impiego può provocare un disastro”, ha detto Man-kei Tam, direttore di Amnesty International Hong Kong.
Amnesty International aveva già messo in luce la pericolosità dei cannoni ad acqua, in particolare in occasione di un incidente del 2015 in Corea del Sud, in cui un manifestante era stato colpito ed era morto dopo un anno a seguito delle ferite riportate, nel settembre 2016.
I cannoni ad acqua dovrebbero essere pronti per metà agosto. La polizia di Hong Kong ne ha sperimentato l’utilizzo anche con un colorante, con lo scopo di identificare i manifestanti dopo le proteste, e con agenti irritanti, molto rischiosi perché è impossibile dosarne una quantità controllata.
“L’utilizzo di cannoni ad acqua, con in aggiunta il ricorso ad agenti coloranti e irritanti, in aree residenziali densamente popolate rappresenta una minaccia alla libertà di espressione e di assemblea pacifica. Oltre al rischio di lesioni gravi, l’uso delle tinture comporta che molte persone, inclusi manifestanti pacifici, giornalisti e residenti della zona, potrebbero essere segnati in maniera indiscriminata. Questo solleva preoccupazioni su cosa potrebbe accadere, dopo la dispersione della folla, a chi resta macchiato”, ha proseguito Man-kei Tam.
Gli scontri fra polizia e manifestanti sono diventati frequenti e la polizia è stata oggetto di lanci di mattoni, bottiglie e molotov. La risposta sembrerebbe però aver solo aumentato la tensione, con il lancio di lacrimogeni in aree piene di persone, anche in zone residenziali. Il gas è entrato nelle abitazioni, inclusa una casa di riposo; un bambino di un anno è stato portato al pronto soccorso per aver inalato gas.
I corpi antisommossa hanno attaccato manifestanti pacifici, giornalisti e residenti, e proiettili di gomma hanno raggiunto anche manifestanti, giornalisti e osservatori dei diritti umani alla schena e alla testa senza che ciò fosse preceduto da avvertimenti chiari e nonostante il fumo dei lacrimogeni pregiudicasse la visibilità.
La polizia ha dichiarato che ha utilizzato 1800 candelotti lacrimogeni, 300 proiettili di gomma e 170 granate di spugna dall’inizio delle proteste il 9 giugno fino alla data del 6 agosto; ha arrestato più di 600 persone e ne ha accusate 44 di “sommossa”, reato che prevede fino a 10 anni. Le leggi di Hong Kong su “raduno illegale” e “sommossa” sono molto al di sotto degli standard internazionali.
Amnesty International chiede che l’utilizzo dei cannoni ad acqua sia limitato a quando strettamente necessario, a quando risulti impossibile contenere la violenza indirizzandosi solo agli individui coinvolti e che comunque sia legittimo e proporzionato all’obiettivo.
I cannoni ad acqua non dovrebbero essere utilizzati su persone troppo vicine e mai su individui già costretti o che non possono muoversi. Inoltre, non dovrebbero essere utilizzati in spazi angusti o dove la folla non possa disperdersi, come strade senza uscita o molto strette, stazioni, stadi.
“I funzionari delle forze dell’ordine devono essere in grado di compiere il loro dovere di proteggere il pubblico. La violenza verso la polizia non costituisce un’autorizzazione a rispondere con uso eccessivo della forza, e la polizia deve evitare una condotta che aumenti la violenza e optare piuttosto per comportamenti che riducano il rischio di ulteriori violenze”, ha concluso Man-kei Tam.