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di David Griffiths, direttore dell’ufficio del Segretario generale di Amnesty International
La maggior parte dei leader sa per istinto che non si dovrebbe mai permettere che una grande crisi vada sprecata. E la pandemia da Covid-19 non è certo un’eccezione. Quando l’emergenza sanitaria pubblica cederà il passo alla crisi economica incombente, i leader che sostengono una politica caratterizzata dal “noi contro loro” ripiegheranno su un atteggiamento che semina paura e colpe per distrarre dalle proprie incapacità.
I politici che negli ultimi anni hanno diffuso con successo una politica fatta di demonizzazione sono anche stati tra quelli meno attivi nella gestione della pandemia. Il presidente degli Usa Trump e il presidente brasiliano Bolsonaro hanno un primato particolarmente triste. Le leadership egoistiche si sono rivelate fragili ed estremamente inadeguate per questo compito. Infatti, la pandemia, a cui non interessano demagogia e distorsioni della verità, ha dimostrato che isolazionismo e discriminazione non possono tenerci al sicuro. “L’approccio noi contro loro” ha accentuato le disuguaglianze già esistenti e ostacolato una risposta efficace e tempestiva alla crisi.
Questa resa dei conti, tuttavia, non sarà la fine delle politiche di demonizzazione. I suoi sostenitori, ovvero coloro che hanno tratto così tanti vantaggi dall’instillare paura e divisioni, hanno trovato nella pandemia nuova linfa per le loro narrazioni basate sulla ricerca di capri espiatori. Le difficoltà economiche costituiscono un terreno fertile per discriminazioni e xenofobia.
Oggetto di dure critiche per la loro cattiva gestione della pandemia, i governi dei paesi come Regno Unito, Usa, Brasile e India avranno tutto l’interesse a creare dei diversivi. A ragione, le persone con difficoltà economiche cercheranno delle risposte e leader come Viktor Orbán, Rodrigo Duterte e Donald Trump sono l’esempio che una colpevolizzazione scientemente articolata propone un cammino verso il successo politico. Questo approccio è alimentato dai canali media che traggono vantaggio dal generare indignazione e dagli algoritmi tecnologici che fanno muovere traffico e introiti dividendo le persone.
L’odierna piazza pubblica è un posto complicato dove chi alza la voce con risposte semplici e persuasive, seppur polemiche e divisive, può facilmente avere la meglio.
Dobbiamo stare in guardia ed essere pronti con delle alternative. Le organizzazioni come Amnesty International devono fare la propria parte nel comporre una grande richiesta di soluzioni concrete che portino vantaggi per tutti, invece di permettere che siano le grida “noi contro loro” a stabilire l’agenda futura.
Non sempre Amnesty International si è espressa con abbastanza forza sulle situazioni sfruttate da quei leader che usano le politiche di demonizzazione. Abbiamo dunque deciso di adottare quattro tipologie chiave di approccio per cambiare e rispondere a queste sfide.
In primo luogo, dobbiamo offrire una visione convincente dei temi che riguardano le diverse comunità e fornire soluzioni che parlino ai bisogni di ognuno nella società. In un’epoca nella quale i diritti umani sono considerati in molte società sempre più elitari o uno strumento per agevolare solo le minoranze invece di un mezzo per migliorare le vite di ciascuno, dobbiamo concentrarci sulla costruzione di un sostegno ampio e solido per i diritti umani in quanto struttura di una società sana. Ciò significa pensare a cambiamenti nell’opinione pubblica, oltre che al cambiamento giuridico e politico.
In secondo luogo, dobbiamo parlare ai cuori delle persone. I diritti umani non sono concetti giuridici astratti. Gli aspetti che migliorano le nostre vite quotidiane, ovvero un lavoro dignitoso, un alloggio adeguato, la libertà di scegliere con chi relazionarsi, sono possibili solo se vengono rispettati i nostri diritti umani. I sostenitori delle politiche del “noi contro loro” investono nella costruzione di un legame emotivo e viscerale con le persone, disseminando paura e dividendo le persone. Noi dobbiamo assicurare che anche il nostro messaggio tocchi i cuori, ma promuovendo empatia e solidarietà. Dobbiamo migliorare il modo in cui ricordiamo alle persone che i diritti umani sono profondamente importanti per tutti noi.
In terzo luogo, dobbiamo assicurare che il nostro movimento sia quanto più ampio possibile per affrontare tutti i temi di cui parliamo e quanto più diversificato possibile come le società che cerchiamo di influenzare. I diritti umani sono per tutti e dobbiamo assicurare che la composizione del nostro movimento rispecchi tutto ciò, sforzandoci ancora di più per arrivare a coloro che sono meno rappresentati.
In quarto luogo, dobbiamo rafforzarci a livello locale, impegnandoci con i rappresentanti delle comunità nella lotta per la giustizia. Tutto ciò implica anche rafforzare alleanze e collaborazioni, costruire ponti di solidarietà tra le comunità e oltre le frontiere.
La politica della demonizzazione è basata su sciovinismo, negatività e paura. Le pesanti aggressioni nei confronti di determinati gruppi di persone rappresentano un fallimento dell’immaginario politico e non un segnale di forza come sostengono i loro fautori.
Quello di cui invece abbiamo bisogno è una guida che affronti le difficoltà principali che i leader esperti di demonizzazione sfruttano. Abbiamo bisogno di leader che effettivamente risolvano i problemi, costruendo solidarietà e rafforzando le comunità.
Dobbiamo essere pronti a dimostrare che i diritti umani offrono delle risposte di gran lunga più reali e convincenti rispetto a vuote narrazioni costruite su colpevolizzazioni, divisioni e paura.