I post dei partecipanti al campeggio di Lampedusa

28 Luglio 2011

Tempo di lettura stimato: 15'

I ragazzi e le ragazze che stanno partecipando al campeggio per i diritti umani di Lampedusa raccontano la loro esperienza, i loro pensieri e impressioni di una settimana difficile da dimenticare. Leggi tutti i post!

Post di Moira

Ora che questa breve, ma densa esperienza sta giungendo al termine, è sempre più chiaro in me che il mondo è una cosa complessa, un libro estremamente difficile da leggere, per il semplice fatto che, qualunque sia la lingua nella quale stai cercando di decifrarlo, ci sarà sempre un’immensa quantità di parole di cui non conosci il significato e di cui non troverai la definizione in nessun vocabolario.

UN RICORDO DI PIOGGIA

Lunedì mattina, un inaspettato acquazzone ci ha costretti a rimandare la visita all’isola dei Conigli. Non mi è dispiaciuto per niente, perché in cambio ci è stata data l’opportunità di partecipare a un piccolo presidio in solidarietà ai migranti organizzato davanti al C.I.E. di Imbriacola. Forse anche per colpa della pioggia, il presidio è stato davvero ‘piccolo’, ma l’emozione, al contrario, enorme. Un posto di blocco sorvegliato dalla guardia di finanza ci impediva di avvicinarci ai cancelli del centro. Il motivo? Forse, come ci ha spiegato poi nel pomeriggio un carabiniere della base per minori Loran (un distaccamento del C.P.S.A. di Lampedusa, situato anch’esso a Imbriacola), si temeva che alla nostra vista i migranti si agitassero troppo. Qui, secondo me, la sintesi di tutte le ingiustizie che gli immigrati clandestini subiscono nel nostro paese. Uomini, donne e bambini arrivati in Italia e automaticamente rinchiusi in centri di prima accoglienza dove, di fatto, vivono come detenuti senza aver commesso alcun reato.

Molto difficile è entrare nel centro, e ancor più difficile uscirne.

Nel pomeriggio, abbiamo aspettato l’uscita delle volontarie di Terres des Hommes davanti alla base Loran. Anche lì, la scena è la stessa. Ci viene chiesto di allontanarci e, questa volta, di presentare i nostri documenti. Il mare era calmo e il cielo ormai spalancato all’azzurro, ma i nostri sguardi si impigliavano senza sosta nella rete del centro, dall’altra parte della quale tutti i ragazzi presenti al centro ci guardavano. Noi qui, loro lì, dietro la rete, dall’altra parte del mondo. Arrivano le volontarie, che grazie ad un progetto hanno la possibilità di entrare tre volte a settimana nel centro.

Alessandra, avvocato, ci da alcune informazioni riguardo le condizioni dei minori ‘detenuti’. Attualmente sono 169, fra i 14 e i 17 anni, e con loro ci sono altri due migranti, adulti. Nessuno dei minori è stato affidato ad un tutore, come per legge dovrebbe essere. Rinchiusi nel centro senza alcun titolo giuridico, rimangono nel centro per qualche tempo (ci sono stati casi di ragazzi trattenuti per 55 giorni), per poi essere trasferiti verso delle case d’accoglienza sparse in tutta Italia (o verso le cosiddette ‘strutture ponte’, che se ne occuperanno in attesa di un nuovo trasferimento). Le condizioni all’interno del centro sono molto precarie: non vi sono passatempi oltre a quelli che da soli i ragazzi si ingegnano a creare, le condizioni igieniche sono scarse e non vi sono, alla base Loran, cabine telefoniche a disposizione (ci sono due cellulari, ma non è facile riuscire a captare la rete). Nel centro entrano, oltre a Terres des Hommes, alcune altre organizzazioni autorizzate. Fra queste, la Croce Rossa, l’Unhcr e Save the Children (con la quale abbiamo avuto un incontro giovedì sera). La tristezza è molta, nell’ascoltare le parole di Alessandra, e i lunghi, silenziosi saluti a distanza che ci siamo scambiati con i ragazzi serrano la gola lungo la strada del ritorno.

PORTA D’ EUROPA

È fine pomeriggio, soffia uno scirocco che porta meduse alla spiaggia e caldo umido sulla pelle. Camminiamo senza meta per le strade di Lampedusa, con un appuntamento per le 7 a Porta d’Europa. Abbiamo voglia di parlare, conoscere gente, stare con i lampedusani, ma solo poche ore a disposizione. Nella zona del porto vediamo tre signori sui sessanta vicino ad un bel peschereccio (la ‘Flavia’, come si presenta la scritta sul fianco) dipinto di bianco e azzurro. Con la scusa di chiedere indicazioni (anche se Antonino, di Alternativa Giovani, ci ha spiegato perfettamente dove si trova porta d’Europa) ci avviciniamo al primo signore e attacchiamo discorso.

Senza alcuno sforzo da parte nostra  per spingere la conversazione oltre il semplice ‘mi scusi/grazie’ , il signor Vincenzo si mette a raccontare la storia del monumento, spiegandoci che è stato costruito due anni fa sull’estrema punta sud di Lampedusa (quella che le imbarcazioni dei migranti cercano di raggiungere) per dare il benvenuto ai nuovi arrivati e per commemorare quelli che sono naufragati nel segreto del Mare prima di poter essere soccorsi. Vincenzo non ha niente contro i migranti, nemmeno contro quelli che lo scorso inverno hanno invaso l’isola creando un certo disagio alla popolazione. Come molti, qui, crede che la crisi sia stata creata volontariamente dal Governo italiano (che ha bloccato i trasferimenti, lasciando che il centro d’accoglienza di Lampedusa, e poi le sue strade, si gonfiassero di migranti esasperando la situazione) per ricevere fondi dall’Unione Europea.

Durante i mesi ‘caldi’ dell’emergenza, i migranti stavano e dormivano dappertutto, anche sotto le barche. Vincenzo, al quale dei ragazzi tunisini hanno ‘sequestrato’ la scialuppa per due settimane, non si lamenta e sembra provare comprensione più che astio, pietà più che paura. La sua rabbia è per il governo, che ha lasciato l’isola da sola, e per i mass media, che ‘hanno parlato troppo e troppo poco di quello che avveniva a Lampedusa). Troppo del caos, del disordine, del sovraffollamento. Troppo poco dei veri problemi dell’isola e di ciò che molti lampedusani hanno fatto per aiutare i migranti. ‘Certo’, prosegue Vincenzo, ‘la situazione poteva scoppiare in ogni momento, bastava tanto così’… ma questo non è avvenuto. Dopo una lunga conversazione e qualche scambio di battute, ci accomiatiamo dal pescatore con un sorriso e cerchiamo di raggiungere porta d’Europa. Lo ritroviamo poco dopo, con la macchina (voleva forse sapere se eravamo riusciti a trovare il luogo dell’appuntamento?), e ci scorta fino al monumento.

Al tramonto, con tutti i nostri compagni seduti sulla roccia e i ragazzi di Alternativa Giovani che ci spiegano come la loro piccola e potente associazione (nata in seno al liceo scientifico dell’isola) cerca di sensibilizzare l’opinione pubblica locale sui problemi del migrante, Porta d’Europa si riempie di sole. L’orizzonte, guardato da sud, è dolorosamente bello e sembra annunciare nuovi arrivi. Una frase, pronunciata da qualcuno dei ragazzi di A.G., rende comunicabile ciò che ho pensato in quel momento: ‘il prossimo non è solo colui che abbiamo immediatamente accanto, ma anche colui che sta per arrivare.’

Post di Maria Giusi,studentessa in diritto dell’uomo ed etica della cooperazione internazionale, Soprà (BG)

‘Quando ero piccolo, seguivo mio padre, pescatore, nelle sue uscite verso le coste tunisine; lampedusani e tunisini pescavano nello stesso mare, lo stesso pesce azzurro con le stesse reti. Spesso ci fermavamo in qualche porto tunisino per qualche giorno, e giocavo con i bambini del posto, dove ho imparato la loro lingua.’

Lampedusa, mercoledì pomeriggio, sotto un sole cocente e in una via Roma quasi deserta, il signor Giuseppe, come ogni persona con tanti anni di vita da raccontare, ha subito iniziato a mostrarmi attraverso i suoi occhi come ha vissuto l’arrivo dei migranti tunisini. Li vedeva girare per il paese, e ogni giorno dava loro un euro e una parola nel suo tunisino dei ricordi d’infanzia. Con gli occhi ancora lucidi, e un sorriso pieno di esperienze, mi ha raccontato di come, durante quelle giornate di metà febbraio, a fargli compagnia ci fossero dei ragazzi un po’ cresciuti che giocavano di fronte a casa sua, in piazzetta, e che chissà… forse erano i nipoti di quei bambini con cui un tempo aveva giocato lui. Nella squadra dei lampedusani quest’anno a giocare c’era anche un altro Giuseppe, il nipote che porta il suo nome e che spontaneamente ha pubblicato le foto del ‘derby mediterraneo’ nel suo profilo Facebook. E la storia di incontro fra tunisini e lampedusani si ripete… Lampedusa è Italia, Lampedusa è Europa, ma durante la sua vita Giuseppe è stato più volte in Tunisia che ‘in continente’, insomma due terre con soltanto un mare di mezzo.
 
Il signor Giuseppe è però deluso, dice che la sua bella isola è ‘k.o., non ci sono turisti nella via principale del paese, mentre fino all’estate scorsa non si riusciva nemmeno a camminare’.

‘Lampedusa vive, oltre che di turismo, anche di pesca, e mi piace vedere i migranti come i pesci di mare, con il diritto di potersi muovere liberamente e ovunque; fino a quando non succede che in alto mare, lontano dalle coste, le reti si trasformano in C.I.E., che come ai pesci tolgono la vita, ai migranti tolgono la libertà.’

Post di Pietro, studente di Padova

Lampedusa chiede dignità. La pretende ed è doveroso pretenderla, visto che l‘Italia si è dimenticata di quest’isola e dei suoi abitanti, concentrandosi attraverso il filtro mediatico solo sui fatti più scabrosi e più facilmente strumentalizzabili per parlare alla pancia delle persone, e creare e fomentare la paura del diverso, dell’altro.

I lampedusani sono esasperati, si sentono dimenticati, si sentono esclusi dall’Italia, proprio l’anno in cui più che mai gli italiani dovrebbero respirare e ricercare l’unità. Per usare le parole del parroco di Lampedusa, don Stefano, si ha l’impressione che ‘l’Italia sia una ma che non sia unita’; e Lampedusa ha bisogno di sentirsi non l’isola dell’isola della penisola, ma di far parte di un tutto e di ricevere finalmente le attenzione dovute. Un centro di ostetricia, ad esempio, sarebbe uno dei tanti diritti che si dovrebbero garantire a  Lampedusa, che da Porta d’Europa ha saputo accogliere con umanità e dignità tantissimi immigrati, dimenticati per troppo tempo dal governo. Lampedusa ha dato tanto ed ora è giusto che pretenda tanto.

Il post di Valerio, studente di Giurisprudenza a Bologna

È la mattina di un lunedì di luglio e a Lampedusa non fa il solito caldo da Africa Nera , tutt’altro, viene giù un forte acquazzone. Gran quantità di gocce d’acqua che a noi partecipanti al campo sui diritti umani di Amnesty International non permettono di rispettare lo svolgimento delle attività programmate per la mattinata. Quest’ultima non è persa e proprio grazie alle gocce d’acqua dolce, che ci danno un piacevole sollievo e alleviano la nostra sofferenza, se tale può essere definita, dopo giorni di caldo torrido, decidiamo di recarci al C.I.E. Imbriacola di Lampedusa. È il 25 luglio, giornata di mobilitazione nazionale denominata ‘LasciateCIEntrare“; tema centrale è la condizione dei migranti nei C.I.E.

Imboccata la via per andare al C.I.E. ci siamo subito potuti rendere conto di quale fosse la realtà.
È una realtà che narra di sbarramenti in divisa e barriere fisiche, sbarre e filo spinato. Tutto invalicabile. I nostri pensieri, sentimenti e la nostra solidarietà nei confronti di esseri umani come noi rinchiusi all’interno del C.I.E. non possono essere fermati da alcun ostacolo. Riflettiamo su quanto hanno dovuto affrontare, il viaggio durante il quale gocce d’acqua salata bruciano la loro pelle, procurando loro ulteriore sofferenza. E allora ci sentiamo loro complici, loro amici, tutti abitanti della stessa Terra che è il nostro mondo.

Per questo ci uniamo a loro, stando al loro fianco, dicendogli di guardare al C.I.E.lo

Guarda il C.I.E.LO – Post di Helena, studentessa di Siracusa

Dalla Sicilia a Lampedusa, da un’isola all’altra, in campeggio con Amnesty International per raccogliere voci finora poco ascoltate e restituirle, amplificate, a chi non vuol sentire.

Con me, altri 40 partecipanti provenienti da tutta Italia. Ho scoperto una Lampedusa migliore, una terra in cui i sorrisi degli abitanti fanno a gara con la luce del sole. Ma ho anche trovato un’isola nell’isola, lambita non dal mare ma da filo spinato: è il CPSA (Centro di Primo Soccorso e Accoglienza) situato nella ex base Loran, nel quale sono trattenuti 169 minori migranti.

L’accesso al centro è riservato a pochissime ONG umanitarie. Preoccupati per le condizioni di detenzione dei migranti, chiediamo di guardare oltre, di guardare il CIElo.

Segui la diretta da Lampedusa e partecipa all’azione di solidarietà per i migranti: appendi al tuo balcone o in qualsiasi altro posto visibile il palloncino con un messaggio di solidarietà per richiamare l’attenzione sull’uso massiccio e sistematico della detenzione, nei due Centri dell’isola, così come negli altri Centri d’identificazione ed espulsione italiani, di persone indifese e provate dalle difficoltà e dalle cause del viaggio.
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