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Il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti umani ha iniziato il 17 ottobre l’esame del rapporto che l’Iran ha presentato, con oltre 10 anni di ritardo, sull’attuazione del Patto internazionale sui diritti civili e politici.
Il rapporto del governo iraniano, da un lato fornisce una rappresentazione gravemente distorta della situazione dei diritti umani nel paese, dall’altro riconosce in modo implicito la discriminazione che colpisce le donne e le minoranze e conferma la sua natura di ‘serial killer’, attraverso centinaia di esecuzioni all’anno, compresi minorenni al momento del reato.
Nel rapporto presentato al Comitato Onu sui diritti umani, le autorità iraniane offendono i fedeli baha’i, accusano le attiviste per i diritti umani di ‘contribuire al disordine pubblico’ e fanno intendere che le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender non hanno titolo a essere tutelate dal Patto internazionale sui diritti civili e politici.
Amnesty International ricorda che le relazioni consensuali tra persone dello stesso sesso vengono punite con le frustate e la pena di morte, che i baha’i vengono frequentemente arrestati e imprigionati a causa della loro fede (oltre 100 sono attualmente in carcere) e che un pastore cristiano, Yousef Nadarkhani, è in attesa del secondo verdetto per il ‘reato’ di apostasia: se giudicato colpevole di aver rifiutato di abbandonare la sua fede religiosa rischia la pena capitale.
In Iran, inoltre, avvocati, difensori dei diritti umani, esponenti delle minoranze e chiunque osi esprimere qualunque forma di dissenso, vengono imprigionati al termine di processi che di solito sono grossolanamente irregolari. La tortura e i maltrattamenti sono la regola.
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