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Un’inchiesta del pool giornalistico non-profit Direkt36 condotta nell’ambito del “Pegasus Project” ha rivelato che i telefoni di oltre 300 persone ungheresi sono stati selezionati per essere infettati dallo spyware Pegasus. Gli esperti di Amnesty International hanno potuto confermare diversi casi in cui l’installazione è andata a termine.
“Il governo ungherese deve immediatamente dare una risposta seria all’ultima rivelazione del ‘Pegasus Project’ e chiarire se era a conoscenza o aveva approvato la sorveglianza illegale di giornalisti, uomini d’affari e altre persone. Se le autorità di Budapest ne erano a conoscenza, devono spiegare su quali basi hanno dato l’approvazione”, ha dichiarato Dávid Vig, direttore di Amnesty International Ungheria.
Già nel 2016, nel caso Szabo e Vissy contro l’Ungheria, la Corte europea dei diritti umani aveva stabilito che le leggi ungheresi non prevedevano salvaguardie adeguate contro le misure di sorveglianza, praticamente in grado di raggiungere chiunque dato che il governo era tecnicamente in grado di intercettare enormi quantità di dati potenzialmente appartenenti anche a persone non iscritte ad alcuna indagine.
Ancora adesso il ministero della Giustizia ha il potere di autorizzare misure di sorveglianza e di raccolta di dati senza che un organismo esterno possa valutare se le intercettazioni siano strettamente necessarie o meno.