Il terzo anniversario della repressione degli uiguri in Cina

5 Luglio 2012

Tempo di lettura stimato: 3'

Il 5 luglio del 2009 migliaia di uiguri si radunarono per una protesta in piazza del Popolo, nella città di Urumqi, nella Cina nordorientale. Chiedevano un’indagine sulle violenze di Shaoguan, migliaia di chilometri a sud, dove 10 giorni prima erano morti due lavoratori migranti uiguri. Secondo loro, le autorità di Pechino non li avevano protetti e non avevano fatto alcun tentativo per arrestare i cinesi han che li avevano aggrediti.

A Urumqi, quella sera, la polizia assaltò i manifestanti. Anni e anni di sottomissione e rabbia spinsero gli uiguri a reagire contro la comunità cinese han. Secondo le fonti ufficiali, negli scontri interetnici morirono 197 persone, per lo più di etnia han.

Le testimonianze oculari raccolte da Amnesty International gettano più di un’ombra sulla versione ufficiale. La polizia cinese usò forza eccessiva, lanciò lacrimogeni e sparò direttamente contro la folla. Seguirono arresti casa per casa, di centinaia se non migliaia di persone, sparizioni e torture. Familiari alla ricerca dei loro cari vennero minacciati e arrestati.
Nell’ultimo mese, decine di famiglie uigure, sfidando il rischio di subire rappresaglie, hanno preso il coraggio di raccontare le storie dei loro parenti scomparsi dal luglio 2009: il più giovane aveva solo 16 anni.

Molte delle persone scomparse neanche avevano preso parte alla manifestazione del 5 luglio, come Abaxun Sopur, un venditore di frutta, che fece di tutto per rimanere lontano dalla zona degli scontri. Poiché molte strade erano bloccate, si fidò nel chiedere un passaggio a una pattuglia della polizia, che invece lo arrestò.

Sempre il 5 ottobre Turghun Obulqasim era al lavoro nella cucina dell’Hotel Huaqiao, nel centro di Urumqi. Il titolare, allo scoppio degli incidenti, chiuse la saracinesca del ristorante e si offerse di ospitare il personale nelle camere dell’albergo. Quattro giorni dopo, Turghun venne arrestato insieme ad altri 70 impiegati dell’albergo. Sua moglie, Merhaba, è andata a protestare innumerevoli volte alla polizia. Ogni volta le hanno detto: ‘Vai a casa, prenditi cura dei tuoi figli. Ti faremo sapere’. Non ha mai più saputo nulla.