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Amnesty International India ha dichiarato che gli emendamenti alla Legge sulla cittadinanza entrati in vigore l’11 dicembre 2019 sono incostituzionali in quanto legittimano la discriminazione su base religiosa e ne ha chiesto l’immediato annullamento.
La nuova legislazione, includente secondo gli obiettivi dichiarati, è in realtà escludente. Consente ai migranti irregolari entrati in India entro il 31 dicembre 2014 di ottenere la cittadinanza ma limita questa opportunità a coloro che professano la religione indù, ai sikh, ai buddisti, ai giainisti, ai parsi e ai cristiani provenienti da Afghanistan, Bangladesh e Pakistan.
Sempre in favore di questi gruppi, riduce da undici a cinque anni l’obbligo di residenza in India al fine di acquisire la cittadinanza ed esclude l’applicazione della Legge sui passaporti del 1920 e della Legge sugli stranieri del 1946 che prevedono l’arresto e il processo per i migranti e gli stranieri entrati irregolarmente nel paese.
Per motivi meramente religiosi, le nuove norme escludono altre comunità religiose – ad esempio i tamil fuggiti dallo Sri Lanka, il più numeroso gruppo di rifugiati presente in India, ormai da tre decenni – e le minoranze musulmane vittime di violazioni dei diritti umani nei loro paesi: gli hazara del Pakistan e dell’Afghanistan, i bihari del Bangladesh, gli ahmadi del Pakistan e quella che le Nazioni Unite hanno definito la “minoranza più perseguitata al mondo”: i rohingya di Myanmar.