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Amnesty International ha dichiarato che a distanza di 25 anni il governo indiano ha fallito nel tentativo di portare davanti alla giustizia i responsabili del massacro di migliaia di sikh avvenuto nel 1984 a Delhi e in altre città, a seguito dell’uccisione del Primo ministro Indira Gandhi.
Il 9 aprile il tribunale di Delhi ha rimandato la decisione sulla causa contro Jagdish Tytler, un importante membro del parlamento indiano ai tempi del massacro, dopo che l’Ufficio investigativo centrale aveva dichiarato di non avere alcuna prova contro di lui. La seduta è stata rinviata al 28-29 aprile.
‘L’ammissione da parte dell’Ufficio investigativo centrale di aver fallito nel raccogliere prove sufficienti potrebbe portare il tribunale a scagionare Tytler da tutte le accuse, mettendo fine ai processi contro chiunque sia stato accusato di responsabilità nel massacro del 1984‘ – ha affermato Ramesh Gopalakrishnan, ricercatore per il sud Asia di Amnesty International.
Jagdish Tytler e Sajjan Kumar erano stati accusati di aver incitato la folla a uccidere membri della comunità sikh. Tytler è stato ministro del governo federale indiano diverse volte ma si è dimesso nel 2005, dopo che una commissione d’inchiesta aveva sollecitato un’ulteriore indagine sul suo presunto ruolo nel massacro e su quello di Kumar. Il ricorso contro l’assoluzione di Kumar resta pendente presso il tribunale di Delhi. I due ora sono candidati con il Partito del Congresso nelle elezioni parlamentari indiane che si terranno il 7 maggio 2009.
‘Sono passati 25 anni dal massacro e solo una piccola parte dei responsabili è stata portata davanti alla giustizia. È una vergogna nazionale‘ – ha affermato Ramesh Gopalakrishnan.
Almeno 3000 sikh sono stati assassinati in quattro giorni per rappresaglia contro l’assassinio del Primo ministro Indira Ganghi, avvenuto per mano della sua guardia del corpo sikh, il 31 ottobre 1984.
‘Il fatto che 3000 persone possano essere uccise senza che nessuno sia portato davanti alla giustizia è un oltraggio al concetto stesso di giustizia e dovrebbe rappresentare una vergogna per il governo indiano‘ – ha dichiarato Ramesh Gopalakrishnan.
Sono stati esaminati solo 587 casi di atti criminali dopo il massacro e molto spesso le indagini sono state chiuse adducendo la mancanza di prove.
‘Il fatto che il governo indiano chiuda questi casi per mancanza di prove è ridicolo. Coloro che erano incaricati di portare avanti le indagini hanno fallito nello svolgere la parte più semplice del loro lavoro, compresa la registrazione delle dichiarazioni dei superstiti e dei testimoni‘ – ha continuato Ramesh Gopalakrishnan.
Negli ultimi 25 anni ci sono state nove commissioni di inchiesta ma solo 25 persone sono state condannate per aver preso parte alle uccisioni. La maggior parte dei 72 ufficiali di polizia, che erano stati accusati di negligenza nello svolgere il proprio dovere e di aver offerto protezione agli aggressori, è stata esonerata. Solo quattro ufficiali hanno avuto una sorta di punizione formale, inclusa la riduzione della pensione.
‘Dopo 25 anni e nove commissioni d’inchiesta il governo indiano può e deve fare meglio. Deve riaprire ogni caso e indagare in modo esauriente al fine di garantire giustizia alle vittime e ai sopravvissuti di questo terribile massacro‘.
Nel 2005 il Primo ministro Manmohan Singh condannò la violenza contro i sikh nel 1984 e disse che i procedimenti penali contro i soggetti citati nel rapporto della IX commissione di inchiesta sarebbero stati riaperti e riesaminati ‘nell’ambito della legge’. Il ministro degli Affari esteri indiano, Pranab Mukherjee, che allora era ministro della Difesa, disse che ci sarebbero state indagini da parte delle autorità competenti per arrivare a specifici verdetti contro coloro i quali erano citati nel rapporto.
‘Per le vittime e i sopravvissuti del massacro del 1984 questo è stato un percorso straziante in cui è stata promessa loro giustizia e invece hanno visto il governo tradire quella promessa più e più volte’ – ha dichiarato Ramesh Gopalakrishnan. ‘Tutti i responsabili del massacro devono essere portati davanti alla giustizia, anche se sono leader politici, poliziotti o ufficiali del governo‘.