Intermediari e trasportatori di armi alimentano uccisioni, stupri e torture

9 Maggio 2006

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In un nuovo rapporto reso pubblico oggi, Amnesty International e TransArms chiedono l’urgente rafforzamento dei controlli sui trasferimenti di armi, cronicamente deboli e ormai inadeguati, per fermare una catena sempre più in espansione di intermediari, aziende di servizi logistici e trasportatori che alimenta massicce violazioni dei diritti umani nel mondo.

Il rapporto mostra come operazioni sempre più sofisticate di trasporto e intermediazione permettano attualmente il trasferimento di centinaia di tonnellate di armi in giro per il mondo, sempre più spesso dirette verso paesi in via di sviluppo e destinate ad alimentare conflitti tra i più brutali del mondo. In queste operazioni sono coinvolti trasportatori e intermediari di Cina, Emirati Arabi Uniti, Israele, Italia, Olanda, Regno Unito, Stati Uniti, Svizzera, Ucraina e dei paesi balcanici. Questa rete di mediazione agevola l’export dei principali fornitori di armi verso i paesi in via di sviluppo, che ora assorbono oltre i due terzi delle importazioni mondiali a scopo di difesa, rispetto al 50% degli anni ’90.

Intermediari e trasportatori hanno collaborato alla consegna di molte delle armi usate per uccidere, stuprare e svuotare territori nei conflitti in corso in Sudan e nella Repubblica Democratica del Congo. I controlli alla dogana sono blandi e solo 35 paesi si sono dati la briga di introdurre leggi sull’intermediazione di armi. Tutto questo rende praticamente inevitabili ulteriori catastrofi dei diritti umani‘ – ha dichiarato Brian Wood, ricercatore di Amnesty International sui commerci di armi e materiale di sicurezza.

Il rapporto descrive la natura segreta, priva di regole e irresponsabile, di molte operazioni di intermediazione e trasferimento di armi, attraverso lo studio di una serie di casi:

  • centinaia di migliaia di armi e milioni di munizioni, provenienti dalle scorte della guerra della Bosnia Erzegovina, sono state esportate clandestinamente, sotto la direzione del dipartimento della Difesa Usa. Questo materiale, pare destinato all’Iraq, è stato trasferito attraverso una serie di società di intermediazione e di trasporto private, compresa una compagnia aerea responsabile della violazione di un embargo delle Nazioni Unite sulle armi destinate alla Liberia;
  • attraverso uno spedizioniere olandese-britannico, un ampio carico di munizioni ed esplosivi è stato spedito da una fabbrica brasiliana verso l’Arabia Saudita e le isole Mauritius. Il carico è stato sequestrato dalle autorità del Sudafrica perché privo di licenza di trasporto. Il Brasile aveva autorizzato l’esportazione, nonostante le gravi violazioni dei diritti umani in corso in Arabia Saudita;
  • il trasferimento, via mare, di ingenti quantitativi di armi dalla Cina verso la Liberia, attraverso un mediatore olandese, in violazione di un embargo delle Nazioni Unite e nonostante le ampie prove di omicidi, stupri e terrore nei confronti della popolazione civile del paese africano.

Il rapporto, inoltre, mette in evidenza una serie di casi in cui società private coinvolte in consegne illegali di armi sono state utilizzate, con denaro pubblico, anche a sostegno delle missioni di pace delle Nazioni Unite e per distribuire aiuti umanitari.

È chiaro che l’attuale coacervo di regole non riesce minimamente a stare al passo col crescente numero di intermediari, delle società di servizi e dei trasportatori che operano a livello internazionale. Le armi arrivano maledettamente in tempo e troppo spesso vengono usate per uccidere, stuprare e sfollare centinaia di migliaia di persone‘ – ha affermato Sergio Finardi di TransArms.

Il rapporto si chiude con una serie di raccomandazioni aventi l’obiettivo di ottenere controlli più forti e rigorosi sul commercio delle armi, basati su norme internazionali coerenti, tra cui:

  • l’immediata istituzione, a livello nazionale, di leggi, regolamenti e procedure amministrative che impediscano le attività di intermediazione, logistica e trasporto che contribuiscono a gravi violazioni dei diritti umani;
  • lo sviluppo di un protocollo internazionale per regolamentare le attività di intermediazione e trasporto, basato su una serie di standard etici condivisi, proclamati in un trattato globale sul commercio di armi;
  • rendere reato le violazioni degli embarghi dell’Onu sulle armi in tutti gli Stati e, in caso di gravi violazioni, considerarle crimini di giurisdizione universale;
  • accrescere gli aiuti internazionali per rafforzare i controlli alla dogana e le altre leggi che hanno l’obiettivo di controllare i movimenti dei carichi commerciali.

La campagna Control Arms

Ogni anno, in tutto il mondo, circa mezzo milione di esseri umani sono uccisi dalla violenza armata: una persona al minuto. Ci sono circa 639 milioni di armi leggere nel mondo oggi e 8 milioni vengono prodotte ogni anno.

Le armi purtroppo circolano liberamente in molte zone del mondo attraversate da conflitti. La loro diffusione incontrollata e il loro uso arbitrario da parte di eserciti regolari e di gruppi armati hanno un costo elevato in termini di vite umane, di risorse e di opportunità per sfuggire alla povertà. Ogni anno, in Africa, Asia, Medio Oriente e America Latina si spendono in media 22 miliardi di dollari per l’acquisto di armi: una somma che avrebbe permesso a questi paesi di mettersi in linea con gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, eliminare l’analfabetismo (cifra stimata: 10 miliardi di dollari l’anno) e ridurre la mortalità infantile e materna (cifra stimata: 12 miliardi di dollari l’anno).

Per far fronte a questo drammatico problema, è nata la mobilitazione internazionale Control Arms, lanciata congiuntamente da Amnesty International, Oxfam e Iansa, che si prefigge l’obiettivo dell’adozione, da parte delle Nazioni Unite, di un Trattato internazionale sul commercio delle armi.

Nel nostro paese la campagna è rilanciata dalla Sezione Italiana di Amnesty International e dalla Rete italiana per il Disarmo. Oltre a contribuire alla grande mobilitazione mondiale, i promotori intendono agire per migliorare gli strumenti legislativi e di trasparenza esistenti in Italia sul commercio di armi. Il nostro paese è infatti il quarto produttore e il secondo esportatore mondiali di armi leggere eppure la nostra legislazione è vecchia di 30 anni e ad oggi non esiste alcuna forma di controllo sugli intermediatori internazionali di armi.

FINE DEL COMUNICATO                                                Roma, 10 maggio 2006

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