- Amnesty International è soddisfatta per l’approvazione della nuova legge sulla tortura?
- Hanno ragione, dunque, coloro che definiscono il nuovo reato di tortura come “inapplicabile”?
- È vero che la Convenzione ONU impone un reato “proprio” (del solo pubblico ufficiale) mentre la nuova legge italiana prevede un reato “comune” (che può essere commesso da chiunque)?
- Ci sono altri limiti a questa legge?
- Cosa valutate positivamente dell’approvazione della nuova legge?
- Perché non avete condiviso la posizione di chi ha chiesto di bocciare la legge e rimandare alla prossima legislatura?
- Non si poteva chiedere a questo parlamento di modificare il testo della legge?
- Amnesty non avrebbe dovuto adottare una posizione più dura?
Amnesty International è soddisfatta per l’approvazione della nuova legge sulla tortura?
No, soddisfatta no, perché avrebbe voluto una legge diversa. La definizione della nuova fattispecie è confusa. La sua lunghezza nasconde la preoccupazione di escludere, piuttosto che quella di includere in sé tutte le forme della tortura contemporanea. I principali punti critici specifici sono il riferimento ad un “verificabile trauma psichico”, che esprime una diffidenza verso le conseguenze della tortura sull’integrità psichica della vittima, e i passaggi da cui emerge una possibile limitazione della fattispecie a comportamenti ripetuti più volte (sugli effetti pratici di entrambi i passaggi, peraltro,
esistono opinioni contrastanti – vedi sotto).
Hanno ragione, dunque, coloro che definiscono il nuovo reato di tortura come “inapplicabile”?
No. Dire che è inapplicabile esclude ogni possibile applicazione e la nuova fattispecie avrà, invece, sicuramente, un proprio ambito di applicazione. Il problema è di valutare in concreto l’ampiezza di questo ambito – cosa è incluso e cosa no. Su questo ci sono opinioni diverse anche tra i giuristi. Sicuramente i due limiti di cui sopra non aiutano (se non ci fossero stati sarebbe stato molto meglio), ma la valutazione circa i loro effetti concreti va da quella di chi ritiene che rendano la fattispecie del tutto inapplicabile fino a quella di chi ritiene che nessuno dei due produca alcun significativo effetto concreto. Una risposta certa potrà venire soltanto dagli sviluppi futuri.
È vero che la Convenzione ONU impone un reato “proprio” (del solo pubblico ufficiale) mentre la nuova legge italiana prevede un reato “comune” (che può essere commesso da chiunque)?
La Convenzione ONU definisce la tortura come comportamento tenuto con il coinvolgimento (attraverso l’esecuzione materiale o l’istigazione o il consenso o l’acquiescenza) del pubblico ufficiale e assomiglia dunque a quello che nel diritto penale italiano va sotto il nome di reato proprio. Tuttavia, la Convenzione fa espressamente salve le definizioni statali più ampie. La legge italiana prevede la tortura come reato comune, ma aggravato se commesso dal pubblico ufficiale. Essendo una previsione tecnicamente più ampia non è in contrasto con quanto imposto dalla Convenzione ONU. Ciò detto, sul piano dell’opportunità è importante che il reato di tortura non sia troppo “diluito”, andandosi a confondere con i reati generici di cui sono stati finora accusati in Italia i responsabili di tortura (dall’abuso di ufficio alle lesioni) e che ne hanno comportato la sostanziale impunità. La previsione di un’aggravante specifica per la tortura commessa dal pubblico ufficiale sicuramente contribuisce a soddisfare questa esigenza.
Ci sono altri limiti a questa legge?
Si, tra questi c’è il mancato prolungamento dei termini di prescrizione che era stato originariamente previsto. Anche se la Convenzione ONU non obbliga a prevedere l’imprescrittibilità del reato di tortura (né contiene previsioni specifiche in tema di prescrizione), un termine di prescrizione non sufficientemente lungo nel diritto interno rischia di essere un ostacolo al rispetto dell’obbligo generale di punire adeguatamente la tortura.
Cosa valutate positivamente dell’approvazione della nuova legge?
Il fatto che un reato specifico, che consente di chiamare la tortura con il suo nome, anche in un tribunale italiano, senza doverla camuffare da reato generico, è un passo avanti utile.
Da diversi decenni è vincente nei fatti, in Italia, la posizione di chi vuole mantenere il silenzio del codice penale sulla tortura, rimuoverla come mezzo per escludere la possibilità che questa abbia mai luogo nel nostro paese. Il numero e la veemenza delle posizioni contrarie all’introduzione della tortura, i contrari “senza se né ma” … anche al reato così definito, è una conferma del fatto che la sua introduzione non è considerata senza effetti (non è “indolore”, se vogliamo) dai suoi principali detrattori.
Perché non avete condiviso la posizione di chi ha chiesto di bocciare la legge e rimandare alla prossima legislatura?
Pur condividendo molte del le considerazioni critiche di coloro che avrebbero voluto rimandare, riteniamo che un rinvio, e la conseguente chiusura della legislatura con un nulla di fatto, avrebbe rappresentato un rimedio peggiore del male. Da un lato, il clima politico non fa certo sperare che un nuovo Parlamento possa approvare in tempi ragionevoli una buona legge sulla tortura, distinguendosi in questo dai Parlamenti degli ultimi 28 anni. Dall’altro, nel frattempo, si sarebbe prolungata quella situazione nella quale la tortura non era contemplata affatto nel nostro codice penale (con tutte le conseguenze che ciò ha comportato in termini di impunità). Una legge sulla tortura, anche se non soddisfacente, è, per l’impatto che può avere sui diritti delle persone, sicuramente preferibile a nessuna legge.
Non si poteva chiedere a questo parlamento di modificare il testo della legge?
Non c’erano i tempi. Anche nell’ipotesi (alquanto improbabile) che coloro che avevano raggiunto il compromesso da cui è nata questa legge fossero stati all’improvviso disponibili a modificare le loro posizioni. E’ una richiesta che sarebbe stata condivisibile se ci fosse stata una qualche possibile che venisse accolta. Non essendoci questa possibilità, era una richiesta sterile, che avrebbe solo potuto contribuire a sua volta a un nuovo nulla di fatto.
Amnesty, peraltro, in alcune occasioni assieme ad Antigone e a Cittadinanzattiva, ha scritto ripetutamente ai Parlamentari commentando e chiedendo modifiche ai vari testi man mano che venivano discussi ed emendati, e negli ultimi tempi si è rivolta anche al Governo chiedendo un’iniziativa dello stesso per promuovere la rapida adozione di una buona legge sulla tortura da parte del Parlamento.
Amnesty non avrebbe dovuto adottare una posizione più dura?
Le posizioni di Amnesty non sono né “dure” né “morbide”, non è questa una chiave di lettura utile a leggere le nostre posizioni. Crediamo nel rispetto dei diritti umani e lavoriamo per ottenere il maggior rispetto possibile di tutti i diritti umani di tutti, portando avanti in modo pragmatico azioni finalizzate ad un impatto positivo sulla vita delle persone, nel presente e nel futuro. Avviene piuttosto spesso che si facciano dei passi, piccoli o grandi che siano, verso un obiettivo che non è raggiungibile in una volta sola. Crediamo che la legge sulla tortura approvata dal Parlamento rappresenti un passo, purtroppo più piccolo di quello che avrebbe potuto essere, verso l’obiettivo dell’adeguata punizione (e dunque della prevenzione) della tortura in Italia.