Iran, Amnesty International denuncia dieci anni di decessi durante la detenzione: nessuna responsabilità accertata, tortura sistematicamente impunita

16 Settembre 2021

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A seguito delle notizie di un’altra morte sospetta avvenuta in custodia, Amnesty International ha dichiarato che le autorità iraniane non sono riuscite ad accertare la responsabilità per almeno 72 decessi avvenuti in stato di detenzione dal gennaio 2010, nonostante i rapporti attendibili secondo cui essi sono stati causati da tortura o altri maltrattamenti o dall’utilizzo letale di armi da fuoco e gas lacrimogeno da parte di agenti.

Quanto emerso, che si basa sull’attività di ricerca a lungo termine di Amnesty International e su un esame completo delle inchieste condotte da parte di gruppi per i diritti umani e organi di stampa attendibili, rivela che dal gennaio 2010 sono almeno 72 le morti avvenute in 42 prigioni e centri di detenzione in 16 province in tutto il paese. L’ultimo caso documentato riguarda Yaser Mangouri, 31 anni, il cui decesso è stato comunicato alla famiglia dai funzionari del ministero dell’Intelligence a Urumieh, nella provincia dell’Azerbaigian occidentale, l’8 settembre 2021. Non un solo agente è stato chiamato a rispondere di questi decessi, rispecchiando quindi la crisi d’impunità di lunga data dell’Iran, in cui sistematicamente le accuse di tortura e uccisioni illegali non vengono sottoposte a indagini e restano impunite. Solo poche settimane fa, un filmato trapelato dalla famigerata prigione di Evin ha fornito terribili prove di pestaggi, molestie sessuali e altri maltrattamenti di detenuti da parte degli agenti di polizia penitenziaria.

“Le notizie della morte di Yaser Mangouri in circostanze sospette mostrano ancor più come il clima di forte impunità incoraggi ulteriormente le forze di sicurezza a violare il diritto alla vita dei detenuti, senza temere conseguenze o avere paura di essere chiamati a rispondere del proprio operato. Il rifiuto sistematico delle autorità di condurre qualsiasi indagine indipendente su queste morti in custodia rispecchia tristemente la normalizzazione della privazione arbitraria della vita da parte di autorità statali”, ha dichiarato Heba Morayef, direttrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.

“Per garantire il rispetto del diritto alla vita è necessario che gli agenti sospettati di torturare a morte i detenuti siano sottoposti a indagini, e nel caso di sufficienti prove ammissibili, perseguiti penalmente. La mancanza di indagini costituisce di per sé una violazione del diritto alla vita”, ha proseguito Heba Morayef.

In 46 dei casi di decessi in custodia, fonti informate, tra cui familiari e/o compagni di cella della persona deceduta hanno riferito che la morte era stata provocata da torture fisiche o altri maltrattamenti per mano di agenti del servizio di sicurezza e intelligence o di agenti della polizia penitenziaria. Secondo fonti attendibili, altri 15 si erano verificati a seguito dell’utilizzo letale di armi da fuoco e/o gas lacrimogeno da parte delle guardie di sicurezza del carcere per reprimere le proteste, all’interno delle prigioni, relative ai timori per la sicurezza per il Covid-19. Nei restanti 11 casi, le morti sono avvenute in circostanze sospette ma mancano altri dettagli sulle possibili cause. La maggior parte dei decessi noti è avvenuta dal 2015.

Amnesty International ha pubblicato una lista in cui sono riportati i nomi di coloro che sono morti in custodia, unitamente all’età comunicata, alla data e al luogo del decesso. La lista non include decine di casi di morte in custodia che si sospetta siano legati al diniego di cure mediche, sui quali sono in corso indagini da parte dell’organizzazione.

Amnesty International ha documentato 31 casi di morti in custodia, anche parlando direttamente con fonti primarie coinvolte come familiari, compagni di cella e conoscenti. In 41 altri casi ha registrato i decessi sulla base delle inchieste di organi di stampa attendibili e si è affidata a gruppi per i diritti umani che lavorano con fonti informate sul posto.

In considerazione della mancanza di trasparenza nel sistema della giustizia iraniana e del fatto che molte violazioni dei diritti umani non vengono denunciate a causa del diffuso timore di ritorsioni e della costante repressione della società civile, Amnesty International ritiene che il vero numero di morti in custodia sia probabilmente molto più alto.

Morti nel primo periodo in custodia

Dei 46 decessi in stato di detenzione in cui sono state riportate torture fisiche o altri maltrattamenti, almeno 36 sono avvenuti durante la fase delle indagini preliminari. La maggior parte delle persone, 28, è deceduta in custodia entro pochi giorni dall’arresto. Una persona è morta immediatamente dopo l’arresto, persino prima di essere trasferita in un centro di detenzione.

Secondo le informazioni raccolte da Amnesty International, almeno nove persone sono morte nelle strutture gestite dall’Unità investigativa della polizia iraniana (Agahi), 11 in strutture gestite dal ministero dell’Intelligence, due nelle strutture gestite dalla polizia municipale, due nelle strutture gestite da agenti di frontiera o per l’immigrazione e una persona per ciascuna delle strutture gestite rispettivamente dalla Polizia informatica iraniana (Fata) e dalle Guardie rivoluzionarie.

Per 36 delle 46 presunte vittime era nota l’età esatta o approssimativa. In base a tali informazioni, 16 erano ventenni, 12 erano trentenni e tre avevano tra i 18 e i 20 anni di età. Ciò significa che, fra quelli di cui è nota l’età, i giovani rappresentano l’86 per cento dei decessi.

Dinieghi dello stato e coperture

Le autorità iraniane generalmente attribuiscono la responsabilità dei decessi in custodia a suicidi, overdose o malattie, in maniera frettolosa e senza condurre alcuna indagine indipendente e trasparente.

Amnesty International ha riscontrato che in almeno 24 dei 46 casi di decessi in custodia con segnalazioni di torture fisiche o altri maltrattamenti le autorità hanno annunciato poco dopo che le morti erano state causate da suicidio (sette), ictus, infarto o altra patologia (12), overdose (tre) o scontro a fuoco durante l’arresto (due). Allo stesso modo, per tre degli 11 decessi riferiti come sospetti, le autorità hanno dichiarato che le cause della morte erano state suicidio (uno), uso di droghe (uno) o patologia (uno).

Anni di documentazione e monitoraggio da parte di Amnesty International mostrano che i familiari delle persone decedute in custodia in circostanze sospette vengono sistematicamente sottoposti a varie forme di molestie e intimidazione da parte degli agenti dell’intelligence e sicurezza, soprattutto quando contestano pubblicamente le dichiarazioni delle autorità in merito alle circostanze della morte dei loro cari o chiedono un risarcimento giudiziario. Anche gli avvocati hanno ricevuto minacce per aver agito in giudizio o hanno persino subito persecuzioni e incarcerazioni. Le autorità iraniane hanno anche una lunga e comprovata storia per quanto riguarda le pressioni esercitate nei confronti dei familiari affinché seppelliscano i propri cari prontamente e senza un’autopsia indipendente.

Amnesty International condivide le gravi preoccupazioni del Relatore speciale delle Nazioni Unite sull’Iran in merito “all’assenza di rimedi interni… per le gravi violazioni dei diritti umani nella Repubblica islamica dell’Iran” e ricorda l’ultimo appello contenuto all’interno del suo rapporto di luglio 2021 nei confronti della comunità internazionale affinché svolga il suo “importante ruolo nel garantire l’accertamento delle responsabilità”.

Amnesty International unitamente ad altre nove organizzazioni per i diritti umani ha chiesto agli stati membri del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite di creare un meccanismo investigativo e di accertamento delle responsabilità per raccogliere, conservare e analizzare prove dei crimini più gravi previsti dal diritto internazionale commessi in Iran per favorire procedimenti penali equi.

Maggiori informazioni

Secondo il gruppo per i diritti umani Hengaw, Yaser Mangouri è stato arrestato e sottoposto a sparizione forzata a opera del ministero dell’Intelligence a Urumieh, nella provincia dell’Azerbaijan occidentale, il 17 luglio 2021. L’8 settembre 2021, il ministero dell’Intelligence a Urumieh ha informato i familiari della sua morte avvenuta a causa di uno scontro a fuoco durante l’arresto. I familiari hanno respinto tale spiegazione e sostengono che era stato arrestato poco dopo aver lasciato la sua abitazione, disarmato. Alla data del 14 settembre 2021, giorno in cui è stata resa pubblica la notizia della sua morte in custodia, le autorità avevano rifiutato di restituire il corpo alla famiglia.

Amnesty International ha documentato in passato le modalità con cui gli agenti di sicurezza e intelligence iraniani sottopongono abitualmente uomini, donne e minori in carcere a torture o altri maltrattamenti, tra cui fustigazioni, sospensioni per gli arti, scosse elettriche, finte esecuzioni, ingerimento forzato di sostanze chimiche e diniego di cure mediche.