Iran, Amnesty International denuncia giro di vite dopo le proteste: migliaia di persone a rischio tortura

16 Dicembre 2019

Tempo di lettura stimato: 12'

  • Anche ragazzi di 15 anni tra le migliaia di persone arrestate
  • Persone arrestate soggette a sparizioni forzate e torture
  • Almeno 304 i manifestanti uccisi, secondo fonti attendibili

A seguito dello scoppio di proteste in tutto il paese il 15 novembre scorso, le autorità iraniane hanno avviato un terribile giro di vite con l’arresto di migliaia tra manifestanti, giornalisti, sostenitori dei diritti umani e studenti per impedire loro di denunciare apertamente la spietata repressione in corso nel paese, ha dichiarato oggi Amnesty International.

L’organizzazione ha condotto interviste con decine di persone che si trovano nel paese, le quali hanno descritto come, nei giorni e nelle settimane delle proteste e in quelli successivi, le autorità iraniane hanno tenuto gli arrestati in incommunicado e li hanno sottoposti a sparizioni forzate, torture o altri maltrattamenti.

Almeno 304 persone sono state uccise e migliaia ferite tra il 15 e il 18 novembre quando le autorità hanno cercato di mettere a tacere le proteste con l’uso della forza letale, secondo dati affidabili raccolti dall’organizzazione. Le autorità iraniane hanno rifiutato di dare una cifra in merito al numero di persone uccise.

Le testimonianze strazianti dei testimoni oculari lasciano intendere che, subito dopo aver massacrato centinaia di manifestanti che hanno preso parte alle proteste nel paese, le autorità iraniane hanno provveduto ad avviare un ampio giro di vite per seminare paura ed evitare a chiunque di poter denunciare quello che era successo“, ha dichiarato Philip Luther, direttore delle ricerche sul Medio Oriente e sull’Africa del Nord di Amnesty International.

Video verificati dai Corpi di verifica digitale di Amnesty International e supportati da testimonianze oculari, mostrano le forze di sicurezza iraniane aprire il fuoco su dimostranti non armati che non rappresentavano alcun rischio imminente. La maggior parte delle morti registrate dall’organizzazione sono dovute a colpi di arma da fuoco alla testa, al cuore, al collo e ad altri organi vitali che indicano che le forze di sicurezza hanno sparato per uccidere.

L’Onu ha dichiarato di avere informazioni secondo cui almeno 12 bambini risultano tra le persone uccise. Secondo le indagini di Amnesty International, risultano tra queste anche Mohammad Dastankhah, di 15 anni che ha ricevuto un colpo al cuore a Shiraz, nella provincia di Fars, mentre attraversava la zona delle proteste per far rientro a casa da scuola e Alireza Nouri, 17 anni, ucciso a Shahriar, nella provincia di Teheran.

Invece di continuare con questa brutale campagna di repressione, le autorità iraniane devono immediatamente e incondizionatamente liberare tutti coloro che sono stati arbitrariamente arrestati” ha aggiunto Philip Luther.

La comunità internazionale deve agire urgentemente, anche attraverso la convocazione, da parte del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, di una seduta speciale sull’Iran per autorizzare un’indagine sugli omicidi indiscriminati dei manifestanti, la terribile ondata di arresti, sparizioni forzate e tortura dei detenuti, nell’ottica di definire i responsabili“.

Ondata di arresti di massa

Il 17 novembre, terzo giorno di proteste, gli organi di informazione statali hanno riportato l’arresto di oltre 1000 dimostranti. Il 26 novembre, Hossein Naghavi Hosseini, portavoce della commissione parlamentare iraniana per la sicurezza nazionale e la politica estera, ha detto che le persone arrestate erano 7000. Le autorità non hanno ancora fornito cifre ufficiali.

Molte fonti indipendenti fra loro hanno detto ad Amnesty International che le forze di sicurezza stanno ancora conducendo irruzioni in tutto il paese per arrestare persone nelle proprie abitazioni e nei loro luoghi di lavoro.

Ragazzi di 15 anni sono stati trattenuti insieme agli adulti, anche nella prigione di Fashafouyeh, nella provincia di Teheran, tristemente nota per torture e maltrattamenti. Le persone fermate sono anche tenute in posti come caserme militari e scuole.

Vari funzionari governativi, tra i quali la guida suprema e il capo della magistratura hanno etichettato i dimostranti come “cattivi” e “facinorosi” e li hanno collegati alle potenze straniere. Gli organi di informazione statali hanno chiesto la pena di morte per i “leader” delle proteste.

Anche giornalisti, studenti e sostenitori dei diritti umani, insieme agli attivisti impegnati nei diritti delle minoranze e dei lavoratori, e persone appartenenti a minoranze etniche sono nel mirino di arresti e detenzioni arbitrarie.

Il giornalista Mohammad Massa’ed è stato arrestato il 23 novembre dopo aver postato un tweet sul quasi totale oscuramento di internet imposto dalle autorità approssimativamente tra il 16 e il 24 novembre. È stato rilasciato su cauzione molti giorni dopo.

L’attivista Soha Mortezaei era tra le decine di studenti arrestati durante le proteste all’Università di Teheran il 18 novembre. Da allora, è detenuta senza poter comunicare con il proprio legale o la propria famiglia. Gli addetti alla sicurezza che si trovavano all’università avevano precedentemente minacciato di torturarla con l’elettroshock e di rinchiuderla in un ospedale psichiatrico.

Tra gli attivisti impegnati nel campo dei diritti delle minoranze detenuti vi sono Akbar Mohajeri, Ayoub Shiri, Davoud Shiri, Babak Hosseini Moghadam, Mohammad Mahmoudi, Shahin Barzegar e Yashar Piri, tutti arrestati sul loro luogo di lavoro a Tabriz, nella provincia dell’Azerbaigian orientale.

Alcune prigioni e centri penitenziari sarebbero in condizioni di grande sovraffollamento. Il 25 novembre, il capo del consiglio comunale di Rey nella provincia di Teheran ha espresso la propria preoccupazione alla stampa per le condizioni della prigione di Fashafouyeh che è estremamente sovrappopolata e non possiede né la capacità né le strutture adatte per accogliere un numero così alto di detenuti.

Almeno due persone che hanno preso parte alle proteste hanno dichiarato ad Amnesty International che si stanno nascondendo nel timore di perdere la vita e hanno anche detto che molti altri si trovano nella stessa situazione.

Una persona ha dichiarato: “Mi sto nascondendo da quando sono stato visto e filmato dalle forze di sicurezza durante le proteste. Mi hanno colpito con un manganello prima che scappassi. Adesso sono in fuga con una grave ferita alla gamba. Non sono al sicuro perché sono andati a casa mia per arrestarmi. È come essere in prigione“.

Mentre alcune delle persone arrestate sono state rilasciate, molte restano detenute in incommunicado, senza poter comunicare con i propri familiari o legali. Alcune famiglie hanno espresso ad Amnesty International la loro profonda preoccupazione per i propri cari che necessitano di cure mediche, considerati gli spaventosi precedenti delle autorità nel negare trattamenti sanitari alle persone in prigione.

Torture e altri maltrattamenti

I racconti dei testimoni oculari e le prove video mostrano che alcuni detenuti sono stati sottoposti a torture e altri maltrattamenti, come pestaggi e fustigazioni. Una persona ha detto che un familiare rilasciato su cauzione è uscito con lividi e tagli al volto e alla testa ed è rimasto così traumatizzato dall’esperienza vissuta che rifiuta di uscire di casa.

Un video verificato e geolocalizzato dai Corpi di Verifica Digitale mostra detenuti portati in manette negli spazi esterni della stazione di polizia di Mali Abad a Shiraz, nella provincia di Fars, e poi picchiati, presi a pugni e a calci dalle forze di sicurezza.

Fonti attendibili hanno informato Amnesty International che nella prigione di Raja’i Shahr a Karaj, nella provincia di Alborz, centinaia di detenuti, anche bambini, sono stati portati in prigione con dei camion. Ogni giorno i detenuti ammanettati e bendati sono stati presi a calci e pugni, fustigati e colpiti con i manganelli dalle forze di sicurezza.

Inoltre, vittime e testimoni oculari hanno detto ad Amnesty International che le forze di sicurezza iraniane hanno fatto irruzione negli ospedali e nei centri sanitari in tutto il paese, per arrestare i manifestanti feriti e trasferirli nei centri penitenziari, dunque privandoli di accesso a cure mediche potenzialmente salvavita.

Una fonte ha dichiarato che funzionari dell’intelligence hanno costretto i direttori dell’ospedale nella provincia di Khuzestan a fornire loro la lista dei nomi dei pazienti appena ricoverati.
Un altro uomo ha riferito di essere stato arrestato da agenti in borghese mentre stava per essere dimesso dall’ospedale nella provincia di Alborz dove era stato curato per una ferita da arma da fuoco allo stomaco. Ha detto di aver visto “molte altre persone con ferite da arma da fuoco e altre lesioni” al centro di detenzione.

Le autorità hanno il dovere di proteggere tutti i detenuti da torture e altri maltrattamenti. Considerato il ricorso sistematico alla tortura in Iran, è fondamentale che le autorità diano immediato accesso ai centri di detenzione e alle prigioni ai funzionari delle Nazioni Unite, titolari del mandato, e ad altri esperti del settore perché possano condurre indagini per l’accertamento dei fatti“, ha dichiarato Philip Luther.

Senza una pressione internazionale immediata, in migliaia saranno ancora a rischio di torture e altri maltrattamenti, ha aggiunto“.

Sparizioni forzate e detenzione in incommunicado

In decine di casi segnalati ad Amnesty International, i detenuti hanno avuto pochi o nessun contatto con le loro famiglie dal momento del loro arresto e alcuni sono stati detenuti in condizioni equivalenti a una sparizione forzata, crimine riconosciuto dal diritto internazionale.

I parenti hanno detto all’organizzazione che si sono recati nei commissariati, nelle procure, nei tribunali rivoluzionari, nelle prigioni e in altri centri di detenzione alla ricerca dei loro cari spariti forzatamente ma le autorità si rifiutano di dar loro informazioni.

Le madri di un gruppo di attivisti per i diritti delle minoranze arrestati durante alcuni attacchi nella provincia dell’Azerbaigian orientale e occidentale hanno detto che le autorità hanno affermato di non avere “alcuna intenzione” di dar loro informazioni: “Possiamo fare tutto quello che vogliamo con i vostri figli. Possiamo tenerli in stato di fermo per quanto tempo desideriamo, anche per 10 anni… Li metteremo a morte e non potrete fare nulla“.

Tra le vittime di sparizione forzata figura l’attivista curdo per i diritti dei lavoratori Bakhtiar Rahimi, arrestato sul luogo di lavoro a Marivan, nella provincia del Kurdistan il 27 novembre. Non si hanno notizie sul suo destino o su dove si trovi da allora. La preoccupazione è molta, soprattutto perché soffre di problemi di cuore e ai reni e ha bisogno di cure giornaliere e specialistiche.

“Il mondo non deve stare ad aspettare in silenzio mentre le autorità iraniane continuano a violare ampiamente diritti umani nel loro tentativo spietato di mettere a tacere il dissenso”, ha concluso Philip Luther.