Iran: criminalizzata la libertà di espressione

29 Ottobre 2009

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(29 ottobre 2009)

Amnesty International ha chiesto all’Ayatollah Ali Khamenei di ritrattare immediatamente quanto dichiarato il 28 ottobre, ovvero che quanto accaduto dopo le  elezioni presidenziali di giugno ha rappresentato un crimine. Quest’affermazione ha obiettivo di criminalizzare il legittimo dissenso pacifico e il malcontento nei confronti della situazione politica.

Il risultato ufficiale delle elezioni del 12 giugno è stato ampiamente contestato e sono seguite dimostrazioni di massa nel paese. Decine di persone sono state uccise dalle milizie Basij e da altre forze di sicurezza. Migliaia di manifestanti sono stati arrestati e molti di essi hanno subito torture e maltrattamenti. Decine, se non centinaia di imputati, stanno subendo un ‘processo spettacolo’.

Amnesty International ha chiesto alle autorità iraniane di annullare la condanna a quattro anni di carcere Hossein Rassam, analista politico dell’Ambasciata britannica a Teheran, arrestato insieme ad altri otto impiegati. Quest’ultimi sono stati rilasciati, mentre Rassam è stato accusato di aver fomentato le violenze seguite alle elezioni di giugno. Il suo avvocato non è stato informato ufficialmente del verdetto.

Se sarà imprigionato, Rassam sarà considerato da Amnesty International prigioniero di coscienza, come i giornalisti Ali Reza Eshraghi e Masoud Bastani, recentemente condannati a cinque anni e mezzo e a sei anni di carcere.

Quello di Rassam è uno dei tanti casi in cui i diritti umani sono stati calpestati: vi sarebbero almeno altre 60 condanne del genere, tra cui quattro alla pena capitale.

Nel caso dell’ accademico irano-statunitense Kian Tajbakhsh, condannato a 15 anni di prigione per aver tentato di rovesciare il governo, la magistratura non avrebbe autorizzato il suo avvocato a presentare l’appello.
La giornalista Fariba Pajouh ha iniziato uno sciopero della fame lunedì 26 ottobre per protestare contro il proseguimento della sua detenzione. È in carcere da due mesi senza accusa né processo. Il giorno dopo anche la giornalista Hengameh Shahidi ha iniziato lo sciopero della fame.


Ahmad Zeidabadi, giornalista riformista e direttore dell’Associazione dei laureati dell’Iran, che svolge attività in favore dei diritti umani, si trova in isolamento da 45 giorni senza aver contatti con la sua famiglia. Solo mercoledì 28 ottobre gli è stato concesso di parlare due minuti al telefono con la moglie. Quest’ultima ad agosto ha denunciato che le autorità stavano cercando di distruggere sui marito, trattenendolo in una specie di tomba.
Le autorità iraniane devono garantire processi equi per chiunque sia accusato di un reato di accertata natura penale.