Iran: “Decenni di omicidi di massa e impunità. Vergognose celebrazioni dell’anniversario della Repubblica islamica”

6 Febbraio 2023

© Amnesty International

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Il rifiuto da parte delle autorità di ammettere e accertare le responsabilità del peggiore caso di omicidi segreti di massa dall’istituzione della Repubblica islamica dell’Iran, i massacri delle prigioni del 1988, ha perpetuato cicli di crimini di diritto internazionale e di impunità con l’obiettivo di stroncare ogni forma di opposizione politica.

È questa l’accusa lanciata, in occasione del 44esimo anniversario della Repubblica islamica dell’Iran, da Amnesty International, che ha denunciato ancora una volta il ruolo fondamentale svolto da esponenti della diplomazia iraniana nel negare i massacri, diffondere false informazioni e opporsi a qualsiasi indagine internazionale.

Le autorità attualmente al potere in Iran stanno adottando strategie analoghe per coprire i crimini di diritto internazionale con cui stanno cercando di reprimere le proteste scoppiate in tutto il paese dopo la morte di Mahsa (Zina) Amini, avvenuta nel settembre 2022 a seguito di maltrattamenti e torture.

“Le autorità della Repubblica islamica si tengono aggrappate al potere da decenni commettendo orrori su orrori nell’assoluta impunità. Continuano sistematicamente a nascondere la sorte di migliaia di dissidenti politici assassinati negli anni Ottanta, i cui corpi vennero gettati in fosse comuni. Occultano o distruggono quelle fosse comuni e minacciano i sopravvissuti e i parenti degli uccisi in cerca di verità, giustizia e riparazione”, ha dichiarato Diana Eltahawy, vicedirettrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord. 

“Tali crimini non sono un ricordo del passato. Questo anniversario arriva mentre è un corso un tremendo bagno di sangue nei confronti dei manifestanti, anche attraverso esecuzioni e condanne a morte. C’è bisogno di un’urgente azione globale per assicurare alla giustizia le autorità iraniane coinvolte in crimini di diritto internazionale”, ha aggiunto Eltahawy.

 

La copertura dei massacri delle prigioni del 1988 

Tra il 1988 e il 1990, diplomatici e autorità di governo dell’Iran promossero la medesima narrazione, liquidando le denunce delle esecuzioni di massa del 1988 nelle prigioni come “propaganda di gruppi di opposizione” e sostenendo che le uccisioni erano avvenute nel contesto di un’incursione armata dell’Organizzazione dei mojahedin del popolo, un gruppo armato di opposizione che aveva le sue basi in Iraq.

Amnesty International ha raccolto prove sul coinvolgimento di vari rappresentanti diplomatici e autorità dell’epoca in questa copertura, tra i quali (tra parentesi il ruolo svolto all’epoca): Mohammad Jafar Mahallati (rappresentante permanente presso le Nazioni Unite a New York), Sirous Nasseri (rappresentante permanente presso le Nazioni Unite a Ginevra), Mohammad Ali Mousavi (incaricato d’affari a Ottawa, Canada), Mohammad Mehdi Akhoundzadeh Basti (incaricato d’affari a Londra, Regno Unito), Raeisinia (primo nome ignoto, primo segretario dell’ambasciata a Tokio, Giappone), Abdollah Nouri (ministro dell’Interno), Ali Akbar Velayati (Ministro degli Esteri), Mohammad Hossein Lavasani e Manouchehr Mottaki (viceministri degli Esteri).

In qualità di rappresentante permanente presso le Nazioni Unite in quel periodo, Mohammad Jafar Mahallati ebbe un ruolo particolarmente attivo nello screditare le denunce dell’allora Relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani in Iran così come quelle di Amnesty International e nell’indebolire la reazione delle Nazioni Unite. Nel novembre 1988, in un incontro col Relatore speciale, negò che ci fossero state esecuzioni di massa e sostenne falsamente che “molte uccisioni avevano avuto luogo durante combattimenti”. 

Un mese dopo, definì “ingiusta” una risoluzione delle Nazioni Unite che esprimeva preoccupazione per le esecuzioni nelle prigioni e affermò che la principale fonte di quelle “informazioni false” era “un’organizzazione terrorista con base in Iraq”. 

Secondo fonti giornalistiche dell’epoca, nelle settimane precedenti l’adozione della risoluzione, Mahallati cercò di farla ritirare o di “annacquarla”, condizionò la cooperazione del suo paese con le Nazioni Unite all’eliminazione, dal testo, di frasi critiche sulle violazioni dei diritti umani in Iran – comprese le esecuzioni di massa – e propose l’adozione di “un testo più morbido che avrebbe semplicemente espresso apprezzamento per la decisione dell’Iran di collaborare con la Commissione delle Nazioni Unite sui diritti umani”.

Sempre Mahallati, il 28 febbraio 1989, scrisse una lettera ad Amnesty International nella quale, ancora una volta, negava “l’esistenza di qualsiasi esecuzione politica” e descriveva le vittime come “individui che, come da loro stesso ammesso, avevano lanciato un’offensiva contro l’Iran uccidendo 40.000 iraniani”.

 

La copertura delle uccisioni nel corso delle proteste del 2022 

Le attuali autorità iraniane stanno ricorrendo a tattiche simili per screditare una nuova generazione di manifestanti e dissidenti qualificandoli come “teppisti”, negando il loro coinvolgimento in centinaia di uccisioni illegali e resistendo alle richieste di indagini internazionali e di accertamento delle responsabilità.

Alla vigilia di una sessione speciale di novembre 2022 del Consiglio Onu dei diritti umani sulla repressione mortale delle proteste, i funzionari iraniani a Ginevra hanno distribuito lunghi documenti in cui si attribuivano le uccisioni dei manifestanti a “terroristi assoldati”, “suicidi” o “incidenti”, contestando addirittura la morte di alcune vittime.

Nello stesso periodo Amir Saeed Iravani, rappresentante permanente presso le Nazioni Unite a New York, chiedeva agli stati di astenersi dall’appoggiare una riunione informale dei membri del Consiglio di sicurezza denunciando “una maliziosa campagna di disinformazione” ai danni dell’Iran.

Ignorando numerosissime prove sulle uccisioni illegali da parte delle forze di sicurezza di centinaia di manifestanti e anche di persone che stavano solo assistendo alle proteste, bambini compresi, Iravani affermava che “il diritto alla libera espressione e di manifestazione pacifica è riconosciuto e assicurato dalla Costituzione della Repubblica islamica e il godimento del nostro popolo di tale diritto è stato sempre sostenuto dal governo”.

“Da decenni il governo iraniano e i suoi rappresentanti diplomatici orchestrano campagne di diniego e disinformazione per trarre in inganno la comunità internazionale e derubare le persone direttamente colpite, e la società nel suo complesso, del diritto alla verità. È davvero giunto il momento che i diplomatici iraniani rivelino la natura e le fonti delle istruzioni ricevute da Teheran e cessino di contribuire alla segretezza che circonda i massacri delle prigioni del 1988, che hanno solo rafforzato l’impunità e aggravato la sofferenza dei sopravvissuti e dei parenti delle vittime”, ha concluso Eltahawy.