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Amnesty International ha chiesto alle autorità iraniane di rilasciare Hengameh Shahidi, giornalista e attivista per i diritti delle donne, arrestata a causa delle sue attività politiche e ora detenuta nel carcere di Evin a Teheran.
La scorsa settimana, dopo la conferma della sentenza in appello, Shahidi ha iniziato a scontare la condanna a sei anni di carcere, dopo che un tribunale d’appello ha confermato la condanna.
Questo arresto è l’ultimo di una serie di continui attacchi contro i giornalisti e gli organi di stampa considerati vicini all’opposizione.
Il 1° marzo il Comitato di controllo sull’informazione ha chiuso diversi organi di stampa: il quotidiano E’temad, diretto da Elias Hazrati, sostenitore dello sconfitto candidato presidenziale Mehdi Karroubi; il settimanale Iran Dokht, diretto dalla moglie e dal figlio dello stesso Karroubi; e il periodico a diffusione locale Sina, accusato di non agire in linea con la Costituzione.
La sentenza emessa nei confronti di Shahidi prevede cinque anni per ‘riunione e complotto allo scopo di danneggiare la sicurezza dello stato’ e uno per ‘propaganda contro il sistema’. La corte d’appello ha annullato l’ulteriore accusa di ‘insulto al presidente’, che avrebbe comportato altri 91 giorni di carcere e una multa.
Amnesty International considera Shahidi prigioniera di coscienza, detenuta solamente per aver pacificamente esercitato la libertà di espressione, associazione e riunione.
Shahidi, consulente sulle tematiche relative alle donne nel corso della campagna elettorale di Mehdi Karroubi e militante del Partito nazionale della verità, era stata inizialmente arrestata il 30 giugno 2009 e detenuta nel carcere di Evin, per più di quattro mesi prima di essere rilasciata su cauzione, il 1° novembre, dopo che aveva iniziato uno sciopero della fame per protestare contro la sua prolungata detenzione.
Shahidi ha riferito di essere stata torturata e, in diverse occasioni, minacciata di esecuzione. Ha detto, inoltre, di essere stata sottoposta a una finta esecuzione. Durante gli interrogatori l’hanno anche minacciata che avrebbero arrestato i suoi familiari.
In un’udienza del processo, il 4 novembre 2009, Shahidi è stata accusata di aver preso parte alle manifestazioni svoltesi tra il 13 e il 17 giugno contro le contestate elezioni presidenziali, aver rilasciato interviste, aver raccolto firme per la Campagna per l’uguaglianza (che ha l’obiettivo di raggiungere un milione di firme per porre fine alla discriminazione legale delle donne in Iran), aver sostenuto la campagna per la fine delle lapidazioni in Iran, aver sottoscritto varie dichiarazioni indirizzate agli organismi delle Nazioni Unite che si occupano di violazioni dei diritti umani e, infine, aver postato articoli sul suo blog.
Shahidi è stata nuovamente arrestata il 25 febbraio 2010 e condotta nel carcere di Evin, dopo essere stata convocata dall’ufficio indagini del ministero dell’Intelligence ‘per rispondere a qualche domanda’. Due giorni dopo, è stata mostrata al suo avvocato, Mohammad Mostafaei, la sentenza del tribunale d’appello che confermava la sua condanna.
Amnesty International ha chiesto alle autorità iraniane di assicurare che durante la detenzione, Shahidi possa incontrare la famiglia e il suo avvocato e ricevere le cure mediche essenziali, comprese quelle necessarie per i suoi problemi cardiaci.
L’organizzazione per i diritti umani chiede l’apertura di un’indagine immediata, completa e imparziale sulle denunce di tortura nei suoi confronti e che i responsabili siano condotti dinanzi alla giustizia e ricevano un processo immediato ed equo.
Amnesty International sollecita , inoltre, la riapertura dei giornali che sono stati chiusi e che venga posta fine alle indebite restrizioni alla libertà di espressione.
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