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Amnesty International ha reso noto che le autorità iraniane hanno annunciato l’intenzione di mettere a morte, lunedì 28 giugno, un prigioniero condannato per un omicidio commesso quando aveva 17 anni.
Hossein Shahbazi, attualmente ventenne, era stato arrestato il 30 dicembre 2018 e condannato a morte il 13 gennaio 2020 da un tribunale della provincia di Fars, al termine di un processo gravemente irregolare.
Per i primi 11 giorni dopo l’arresto era stato trattenuto e interrogato in una stazione di polizia. In seguito, era stato trasferito in un carcere minorile. La madre, che era riuscita a visitarlo dopo una lunga attesa, lo aveva trovato visibilmente dimagrito e con segni di ferite sul volto.
Nel confermare il verdetto, il 16 giugno 2020, la Corte suprema aveva ammesso che Shahbazi era minorenne al momento del reato ma aveva precisato che la sua crescita mentale e la sua maturità erano state accertate dall’Istituto di medicina legale.
L’Iran continua a eseguire condanne a morte su scala massiccia: le esecuzioni sono state almeno 246 nel 2020 – tre delle quali nei confronti di minorenni al momento del reato – e sono già più di 100 dall’inizio del 2021.
Tra le sentenze che rischiano di essere eseguite vi è quella di Ahmadreza Djalali, il ricercatore iraniano che è anche cittadino svedese, condannato alla pena capitale nel 2017 per una falsa accusa di spionaggio. Le sue condizioni di salute sono critiche e gli viene costantemente impedito di contattare la moglie e i figli che vivono in Svezia. Djalali ha svolto un periodo di ricerca anche in Italia, presso l’Università del Piemonte Orientale.