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Amnesty International ha rinnovato l’appello alle autorità iraniane affinché siano rilasciate tutte le donne detenute arbitrariamente in Iran a causa del loro impegno in difesa dei diritti umani, della militanza in gruppi d’opposizione o dell’appartenenza a minoranze religiose ed etniche.
Tra le prigioniere di coscienza adottate da Amnesty International figurano nove donne i cui casi erano stati segnalati, nell’agosto 2010, alla Commissione delle Nazioni Unite sulla condizione delle donne. L’organizzazione per i diritti umani nota con rammarico che, malgrado abbia più volte chiesto il loro rilascio o l’annullamento delle accuse nei loro confronti, esse siano tuttora imprigionate o rischino di esserlo in tempi brevi. Si tratta di:
Hengameh Shahidi giornalista e consulente di Mehdi Karroub, candidato alle elezioni presidenziali del 2009. Sta scontando una condanna a sei anni di prigione nel carcere di Evin, a Teheran.
Shiva Nazar Ahari, attivista per i diritti umani. È stata condannata a tre anni e mezzo per ‘moharebeh‘ (comportamento ostile a Dio) da scontare in isolamento e a sei mesi per ‘propaganda contro il sistema.’ Queste condanne sono state confermate in appello nel gennaio 2011. Un’ulteriore condanna a due anni di prigione per ‘riunione e collusione per commettere un crimine’ è stata invece annullata. Si trova a piede libero ma rischia di essere convocata per iniziare a scontare il periodo di reclusione.
Alieh Aghdam-Doust, attivista per i diritti delle donne. Sta scontando una condanna a tre anni nel carcere di Evin. Nel novembre 2010 avrebbe trascorso una settimana in isolamento per aver protestato contro il trasferimento di prigioniere politiche al ‘reparto metadone’, dove sono poste le tossicodipendenti e le condizioni detentive sono pessime.
Ronak Safazadeh, attivista per i diritti delle donne e della minoranza curda. Sta scontando sei anni di reclusione a Sanandaj,nella provincia del Kordestan. Nel 2010 ha superato l’esame di ingresso all’Università e sta cercando di continuare il suo percorso di studi dentro il carcere.
Zeynab Beyezidi, attivista per i diritti delle donne. Continua a scontare una condanna a quattro anni di prigione in isolamento a Zanjan, nell’omonima provincia.
Mahboubeh Karami, attivista per i diritti delle donne. È stata condannata a quattro anni di carcere per ‘appartenenza a un’organizzazione illegale’ (l’Associazione per i diritti umani dell’Iran), ‘riunione e collusione con l’intento di minacciare la sicurezza dello stato’ e ‘diffusione di propaganda contro il sistema.’ È stata prosciolta dall’accusa di ‘diffusione di bugie’. Nel febbraio 2011 la sua condanna è stata ridotta in appello a tre anni. Al momento è in libertà, in attesa di essere convocata per iniziare a scontare la pena.
Behareh Hedayat, attivista studentesca e per i diritti delle donne. Sta scontando una condanna a nove anni e mezzo nella prigione di Evin. Il 27 dicembre 2010 è comparsa di fronte ai giudici della sezione 4 del tribunale interno alla prigione, insieme al leader studentesco Majid Tavakkoli, per rispondere anche di ‘propaganda contro il sistema’ e ‘attività contro la sicurezza nazionale tramite cospirazione contro il sistema’. Le nuove accuse si riferiscono a una lettera critica nei confronti delle autorità, attribuita a lei e a Tavakkoli e pubblicate alla vigilia della Giornata degli studenti iraniani del 7 dicembre 2010. All’indomani della diffusione della lettera, è stata trasferita nel ‘reparto metadone’ del carcere di Evin, dove è stata interrogata e dove gli è stato negato ogni contatto con i familiari. Per protesta, ha intrapreso uno sciopero della fame durato una settimana. Il 5 gennaio 2011, gli è stata consentita una visita da parte dei familiari. Mentre era in prigione ha sviluppato un calcolo biliare, ma non è noto se abbia ricevuto cure mediche adeguate. Il 2 febbraio 2011, è comparsa di fronte ai giudici della sezione 28 del tribunale rivoluzionario di Teheran, insieme a Tavakkoli e Mahdieh Goirou, un’altra attivista (vedi oltre) accusata di essere autrice della lettera. I tre imputati hanno rifiutato di partecipare al procedimento giudiziario in quanto i loro avvocati non erano presenti in aula. Alla fine di febbraio 2011, tanto a lei quanto a Goirou è stato vietato di incontrare i familiari per almeno sette settimane.
Ma’soumeh Ka’bi, esponente della minoranza araba Ahwaz. Sta scontando una condanna a quattro anni e mezzo di prigione ad Ahwaz, nella provincia del Khuzestan. A quanto pare, i suoi familiari non riescono a visitarla da oltre due mesi.
Rozita Vaseghi, fedele della religione baha’i, bandita in Iran. Sta scontando una condanna a cinque anni di prigione, presumibilmente insieme ad altri prigionieri baha’i, nel carcere di Mashhad,nell’omonima provincia. Ha passato sei mesi in isolamento. Nell’ottobre 2010 è stata ulteriormente accusata di ‘diffusione di insegnamenti Baha’i’ e ‘offese alle santità islamiche’. Pare che abbia perso molto peso e soffra di bassa pressione sanguigna.
Amnesty International sta seguendo i casi di altre decine di donne che si trovano in detenzione arbitraria, molte delle quali sono considerate prigioniere di coscienza a causa della loro militanza politica non violenta o per il loro lavoro a difesa dei diritti umani. Tra loro, vi sono note attiviste politiche come Zahra Rahnavard e Fatemeh Karroubi, detenute insieme ai loro rispettivi mariti, i leader dell’opposizione Mir Hossein Mousavi and Mehdi Karroubi, in condizioni poco chiare che possono far pensare a una sparizione forzata.
Fakhrolsadat Mohtashemipour, esponente del comitato centrale del Fronte di partecipazione dell’Iran islamico, un partito riformista di opposizione, è stata arrestata il 1° marzo 2011, a quanto pare per ritorsione contro le sue continue pressioni per il rilascio di suo marito, Mostafa Tajzadeh, già vice ministro dell’Interno all’epoca della presidenza di Khatami e consigliere di Mir Hossein Mousavi. Lo stesso giorno è stata arrestata la giornalista Mahsa Amrabadi, che era in attesa dell’esito del suo appello contro la condanna a un anno di prigione per ‘propaganda contro il sistema’.
Nazanin Khosravani, giornalista di diverse testate riformiste, arrestata il 2 novembre 2010, è attualmente sotto processo per ‘attività contro la sicurezza nazionale’. Nasrin Sotoudeh, nota avvocatessa per i diritti umani, arrestata il 4 settembre 2010, sta scontando una condanna a 11 anni di prigione sempre per non meglio precisate ‘attività contro la sicurezza nazionale’.
Fatemeh Masjedi, militante della Campagna per un milione di firme (conosciuta anche come Campagna per la giustizia), un’iniziativa di base che vuole modificare le leggi discriminatorie nei confronti delle donne, nel gennaio 2011 ha iniziato a scontare una condanna di sei mesi nella prigione di Langaroud. È stata giudicata colpevole di ‘diffusione di propaganda contro il sistema in favore di un gruppo femminista mediante la distribuzione e la richiesta di sottoscrizione di una petizione per cambiare le leggi discriminatorie contro le donne, e per la pubblicazione di materiale a sostegno di un gruppo femminista di opposizione al sistema’.
Molte altre donne, prigioniere politiche e prigioniere di coscienza, stanno scontando lunghi periodi di detenzione, comminati dopo processi iniqui. Fariba Kamalabadi e Mahvash Sabet, note esponenti della minoranza religiosa baha’i, sono state condannate a 20 anni di prigione insieme a cinque uomini baha’i, nell’agosto del 2010, per ‘reati’ quali ‘spionaggio a favore di Israele’, ‘offesa a santità religiose’ e ‘propaganda contro il sistema’. Un mese dopo, in appello, sono state prosciolte da alcune accusa, tra quella di spionaggio, e la loro pena è stata dimezzata. Nelle ultime settimane, sono state trasferite alla sezione 200 del carcere di Reja’i Shahr (città conosciuta anche come Gohardasht), nei pressi di Karaj, noto per le condizioni di detenzione particolarmente dure e in cui hanno denunciato di aver ricevuto minacce fisiche da parte di altre prigioniere.
Mahdieh Golrou, attivista studentesca e per i diritti delle donne, arrestata nel dicembre 2009, sta scontando una condanna a due anni di prigione per la sua attività non violenta e rischia di dover trascorrere un ulteriore anno in prigione per una precedente condanna che era stata sospesa. Inoltre, è sotto processo insieme a Behareh Hedayat e Majid Tavakkoli (vedi sopra) per una lettera aperta pubblicata alla vigilia del Giornata degli studenti del 7 dicembre 2010.
Amnesty International chiede alle autorità iraniane di onorare e sostenere l’attivismo delle donne iraniane che vorrebbero veder riconosciuto un maggiore rispetto dei loro diritti nella società iraniana, piuttosto che tenerle in carcere per anni, a seguito di processi iniqui, spesso basati su accuse dal carattere vago e indefinito relative alla ‘sicurezza nazionale’.